È una parola che va molto e è una bella parola, non c’è che dire. Condividiamo, non c’è di meglio; voglio condividere con te, praticamente un invito a nozze. Le persone per bene pronunciano questa parola come un sacramento, e in effetti per i credenti lo è, il sacramento di tutti i sacramenti. Eppure al cospetto di tanta bellezza ho qualche difficoltà, e mi ritraggo. Perché, questa è la disagevole verità, io non vedo così di buon occhio la condivisione, piuttosto, col tempo, mi sono invece fatto apostolo della moltiplicazione. Dico proprio apostolo, e in questo mi sento profondamente legato alle radici cristiane della esperienza politica: facciamola finita col dividere e cominciamo a moltiplicare. Il Cristo, è ben noto, quando si è trattato di sfamare la moltitudine degli affamati, quando laggiù nel deserto di Betseda le cose si misero davvero male per migliaia di miserabili, lui non chiede ai suoi di dividere tra tutti quel poco e niente che avevano, cinque pani di orzo e un po’ di pesciolini, ma moltiplicò quel che c’era perché tutti potessero mangiare a sazietà e ne avanzasse pure per l’indomani. Certo, per noi che abbiamo fame di pane, fame di amore, fame di giustizia, fame di speranza, fame di un po’ di pace, fame di tutto, ci sembra una bella cosa condividere le briciole che ci restano, ma la cosa invece bellissima è moltiplicarle. Forse che dovremmo farci bastare un attimo di sollievo dalle nostre fami? Quello ci è concesso anche da schiavi. Non dovremmo invece imparare a conquistare per tutti un pasto dignitoso? Non potrà che essere un miracolo, s’intende, ma di cos’altro dovremmo essere capaci da uomini di fede, di una qualche fede?