La sconfitta non è una parola antica, e l’idea stessa di sconfitta è una questione evidentemente considerata troppo spinosa per i latini, i quali latini si rifiutavano di prenderla in considerazione nonostante la loro ricca panoplia di termini inerenti le cause e gli effetti della sconfitta, tipo codardia, tradimento, stupidità, carneficina, distruzione, fil di spada, forche caudine. Così la sconfitta appare solo quando già siamo nel medievale provenzale, allorché le ceneri dell’Impero sconfitto e risconfitto fino all’estinzione si sono raffreddate ormai da un pezzo, e le braci della sua lingua hanno generato nuove lingue e nuovi sentimenti. Ecco che appare esconfire, un verbo ricostruito dal latino conficere, conficcare, e il suo participio passato, conficto. Lo sconfitto è il conficcato. Cosa è stato conficcato nello sconfitto? Qualcosa di indicibile, qualcosa di così devastante da risultare intollerabile all’Impero, che per conficcare conficcava quanto gli pareva e piaceva, ma ammettere di essere conficcato mai. Ascoltate il suono della parola, conficcato, sconfitto, non avvertite qualcosa di inquietante? Forse vi viene alla mente un piolo di legno nel cuore? Perché questa è la sconfitta, una ferita mortale non solo nel corpo, ma nello spirito, un annientamento dell’essere che preclude la possibilità di risorgere. E così l’invincibile armata dell’impero d’Occidente è lì che giace a Kabul con la sconfitta conficcata nel cuore, esanime, senza il fiato di pronunciare l’indicibile parola.