Allarme, dall’italiano: alle armi. Non c’è equivoco al riguardo, l’allarme impone di metter mano alle armi. Cosa di un certo riguardo e di qualche imbarazzo, per non dire del dove e del come si attingerà alle armi nelle circostanze comuni di non palese e generalizzata belligeranza e in assenza, colpevole, di un’autorità specificatamente preposta. Ragion per cui lo stato di allarme è convenientemente preceduto da uno stato di allerta. All’erta, dall’italiano: in alto. L’allerta ci impone di stare in alto, nella posizione più consona a vigilare su un possibile, o probabile, pericolo di aggressione. Da lassù dove li abbiamo mandati in missione di scolta, i deputati alla sorveglianza militare, metereologica, economica, sanitaria, antiterroristica, antidroga, antinfortuni, antimissilistica, antimafia, e alle molte altre sorveglianze che tengono al riparo lo stato, il paese, l’esercito, il popolo, sapranno per tempo vedere, giudicare e quindi decidere quando e se chiamarci alle armi. Dopodiché, dato l’allarme, altro non c’è che lottare armi in pugno, la lotta non è che lotta armata, indifferentemente in tempo di guerra o di pace, pace apparente, la pace e basta è un sogno, un dolce delirio, del tardo romanticismo europeo e uno stato meditativo praticato da certe antiche filosofie d’oriente. E allora il tema, l’unico tema, sono le armi. Quali armi per respingere l’assalto e vincere la lotta, le più efficaci, risolutive. E precipitiamo nell’incubo, perché i millenni ci dicono che mai, in nessunissima chiamata alla lotta, si è trovata l’arma giusta, l’arma finale.