Etimologia latina scarna, sì, ma da dove?  Da affectus, verbo afficere, toccare, commuovere, a sua volta da ad ficere, agire, operare; o da affecto, participio passato di affectare, desiderare, aspirare, afferrare, bramare, che al passivo diventa essere afferrato oppure aggredito?  Adfectum patriae, amor di patria, o affecto tyrannidem, aspirare alla tirannide? Affecto cruorem alicuius, essere assetato del sangue di qualcuno, o adfectu perrunpur, lasciarsi vincere da un sentimento? Provare affetto è commuoversi o bramare, essere toccati o afferrare? Essere affettuosi è agire o aspirare? Un atto della cupidigia o della generosità? Mah, è la solita solfa dei sentimenti, di tutti quanti, che nascono della confusione per generare confusione, verrebbe da dire a quelli che dicono “mi viene da dire”, stabilendo così che, per quello che li riguarda, l’esprimere in parole un pensiero non è un atto della volontà, ma un’affezione, appunto, come il ruttismo, la petomania. No, non c’è confusione; oppure sì, c’è la meravigliosa, divina confusione di quando tutto si tiene. Perché la verità, palpabile, amabile, è che provare affetto per Giacinto è tale e quale essere affetto da Giacinto. Come la verità, tremenda, indiscutibile, è che l’amor di patria può spingere persino i migliori a desiderare la tirannia. Certo che la cosa ci può turbare, ma c’è un altro modo di vivere? Ah, dimenticavo, affectare significa anche affettare, non nel senso del salame ma dell’affettazione, che è uno stadio degenerativo di affezione, l’ostentazione.