Quando Mao Zedong fece i bagagli per intraprendere la Lunga Marcia di 12.000 chilometri che porterà l’esercito comunista in fuga alla vittoria della sua rivoluzione, mise nello zaino poche cose, che poche ne aveva, ma molti libri, sapeva che il viaggio sarebbe stato lungo e faticoso e in tali circostanze non c’è miglior compagno di viaggio di un buon libro. Della sua biblioteca portatile tre libri erano di autori italiani già da tempo tradotti in mandarino, La guerra per bande di Carlo Pisacane, Il Principe di Niccolò Macchiavelli e la Divina Commedia di Dante Alighieri, si è visto che gli vennero poi di grande utilità. Il testo di Pisacane è il fondamento teorico, il manuale di istruzioni, della sua e di tutte le rivoluzioni armate del XX secolo -la parola stessa guerriglia è idea di Pisacane-; il Principe poi fu una guida politica che gli risultò indispensabile quanto Marx e Confucio, basta pensare a uno dei suoi detti più popolari, non importa di che colore sia il gatto purché mangi il topo. E la Divina commedia? La Divina Commedia doveva essere la sua lettura della buona notte; la cultura cinese, la vita stessa dei cinesi, si nutre da millenni di grandi allegorie -anche la Via della Seta, “la grossa torta che possiamo mangiare assieme”, è in fin dei conti una grande allegoria- e il poema dantesco doveva risultargli più famigliare di quanto non appaia alla sensibilità di molti parlanti la sua lingua originale. Viene da chiedersi come hanno fatto quei tre libri a fare tanta strada fino allo zaino di Mao, e prima ancora nelle librerie del vecchio impero. C’è una risposta semplice; la Cina si nomina e si considera Il Paese di Mezzo, il centro del mondo, ma non per questo i cinesi si sono barricati dietro i millenni della loro storia. Anzi, una delle loro più apprezzabili e radicate virtù è la curiosità, la voglia di conoscere e apprendere tutto ciò che di stimolante gli perviene dal di là del loro mondo e metterlo a buon frutto, lo sanno bene Marco Polo, il gesuita Matteo Ricci e i suoi compagni, e l’orsante di Compiano che ha fatto ballare il suo orso davanti all’imperatore manciù. Sei sempre ben accolto in Cina se porti qualcosa da imparare, che la Cina sia taoista, confuciana o marxista, che ad ascoltarti, o a leggerti, sia il più umile dei contadini o il più potente dell’ufficio politico. Sono dell’idea che anche il segretario Xi Jinping abbia letto i tre libri dello zaino del suo predecessore, e assai probabilmente non solo lui nella folta delegazione in visita nel nostro paese, sono libri che tornano ancora piuttosto utili. Chissà se c’è qualcuno che li ha letti nell’altrettanto folta delegazione italiana.
Il Secolo XIX, 24 marzo 2019