È una parola che c’è e non c’è. Non c’è nei dizionari, non c’è nella parlata, ma c’è in qualche libro, molto, ma molto specifico, e c’è nei nostri cuori, se i nostri sono cuori puri, cuori sinceri. La orecchia che ha fatto il liceo, io non l’ho fatto e soffro nel perenne sospetto di arrampicatore sociale, perché è una pura e semplice traslitterazione dal greco, e certamente chi ha fatto il liceo si sarà cimentato con la parresia, di parresia ci è morto Socrate, che per l’appunto era un parresiasta; sulla parresia si è giocata in Atene la partita della democrazia ed è stata persa alla grande. La parola stessa è sopravvissuta fin verso il V secolo come argomento di dibattito tra i Padri d’Oriente e poi si è inabissata nell’oceanico nulla, i latini se ne tennero alla larga, notando come i loro pochi paressiasti avessero tutti fatto una brutta fine, mi sorprende constatare adesso che il correttore automatico di Word riconosca per bula la parola, forse ha fatto il lieo anche lui. La parresia è il parlare franco, il dire il vero, e farlo senza riguardo per nessun potere e autorità, il parresiasta è colui che esercita questo diritto di cittadino, che sia cittadino filosofo, cittadino politico o cittadino muratore. È la terza gamba, assieme all’uguale partecipazione al potere politico e uguale diritto di parola, senza di che la democrazia non fa da nessuna parte. Questo almeno pensavano gli ateniesi, e non vedo ragioni per non poterlo pensare anche ora e qui, così come ora e qui come al suo tempo Socrate deve morire per aver detto il vero.