Ecco, facciamo che tra due giorni è Natale e questa antica storia voglia dire ancora qualcosa, facciamo che proclamo una Tregua di Natale. Unilaterale, sì, non importa, ma facciamo che per qualche giorno non ne voglio più sapere di guerra, di rabbia e avvilimento, di nemico alle porte e ormai dentro le mura, peggio, mi volto e è lì alle spalle della mia trincea; posso non poterne più? è anche questo un sentimento umano, no? Tregua, magari solo fino a Santo Stefano, ce la faccio? Dai, ci provo. No, non sono giorni propizi questi; mentre il parlamento della mia Repubblica tirava le cuoia per asfissia tra i lazzi flatulenti dei capimanipolo del Nuovo Ordine, ho subito un impegnativo intervento di chirurgia, decorso doloroso, degenza prolungata, pessima reazione ai farmaci, sono pieno di bolle e come Giobbe me le gratterei via con un coccio se solo ne avessi a portata di mano, ma a portata di mano non ho niente visto che mi reggo su due stampelle. Giorni duri, eppure, anche in questa trincea di dolore e frustrazione c’è stato qualcosa di buono utile a puntellare il fragilissimo tentativo di tregua. Incontri interessanti, ad esempio; la vita, amico, è l’erte dell’incontro, cantava Vinicius De Morales. In ospedale ho conosciuto dodici infermieri, quattro per turno, due italiani e dieci arrivati da altri paesi, paesi dell’Europa lontana, Romania, Ungheria, Polonia, Moldavia, Bielorussia. Tutti indistintamente capaci, attenti, molto, molto professionali, e ognuno con una sua storia che valeva la lena di farsi raccontare; e nelle veglie della notte, quando gli antidolorifici non bastavano a neanche a un po’ di quiete, quelle storie son state il mio sedante. E così adesso sono amico dell’ultimo discendente di un’antica famiglia di generali e diplomatici valacchi, progenie diretta del principe Dracul l’Impalatore, dissidenti per spirito nobile di tutti i regimi che nei secoli hanno avuto potere sul loro paese, per ultimo oppositori della Guardia di Ferro, di. Re Carlo, di Antonescu e Ceausescu, e lui, l’ultimo, Costantin, anche dell’attuale governo. E se non bastasse, adesso ho per amica persino una comunista, meglio non fare nomi data la delicatezza della cosa, una signora polacca, la ferrista che ha passato i bisturi e le seghe e i trapani al mio chirurgo, il compito più delicato di un paramedico in sala operatoria. Sì, sono brava, mi ha confessato, ho fatto una scuola dura e ho avuto dei maestri severi, sa, ho studiato al tempo del comunismo. Ma pensa, da qualche parte nell’impero del male c’erano buone scuole. Tregua, tregua, tregua!! E buon Natale
Il Secolo XIX, 23 dicembre 2018