Vivo per metà del mio tempo a Genova e per l’altra metà agli antipodi, ad oriente, nel mezzo di una vigna nella collina romagnola, e vivo pendolando in una corroborante altalena di paesaggi, di caratteri, di società, di culture; vivo in una perenne, eccitante nostalgia, quando sono di qua per quello che ho lasciato di là, quando sono di là per quello che ho lasciato di qua, di fatto vivo in sorprendente equilibrio. Quasi perfetto, se non fosse per una piccola seccatura. Non riesco a stare di là per una settimana che mi prende una struggente nostalgia di acciughe, acciughe al bagnun, acciughe ripiene, acciughe infarinate e fritte, acciughe a scabeccio, al limone, al forno con le patate, in padella aglio e prezzemolo e un po’ di vino bianco. E invece, ahinoi, quando sono di qua anche per un mese o due, non riesco a farmi venire nostalgia per le sardine. Ma che dico, nemmeno per i sardoncini, che sono assai più delicate delle loro mamme. Non c’è niente da fare, la sardina che popola senza risparmio l’Adriatico, non riesco proprio a farmela piacere, e questo mi costa non in termini di socialità, perché i romagnoli vanno pazzi per le loro sardine e si dispiacciono di dover rivedere il positivo giudizio che pensavano di accordarmi come uomo di solida tolleranza e spiccata propensione al multiculturalismo. Ma che ci posso fare, con la coscienza si può discutere, con il palato no? Dunque potete immaginare i sentimenti contrastanti che ier l’altro mi ha scatenato la splendida immagine di piazza De Ferrari stipata zeppa di sardine. Da incallito progressista ligure avrei voluto vederla sobbollire in un meraviglioso, iridescente pallone di acciughe. E invece erano sardine, ma in onestà cosa posso dire se non peggio per le acciughe? Già, sono vecchio e patisco la malattia di tutti i vecchi, l’invidia per i giovani, i giovani che si sbafano allegramente acciughe e sardine con eguale appetito, i giovani che sanno fare quello che io sapevo fare alla loro età, esserci, riempire le piazze con il mio corpo, le mie passioni, le mie attese, le mie idee. Oggi ci sono loro, le sardine, io posso solo mettermi in coda stare a guardare, cercando di non disturbare, sono io e che ho fatto di questo Paese quello che loro non riescono a sopportare, come oso mettermi a cacare dubbi come sarei tentato d fare? Un amico mi ha appena inviato l’immagine di una bella piazza di Amsterdam piena di sardine, proprio lì dove impera l’aringa, in primo piano c’è una sardinona con scritto: articolo 1=lavoro, articolo 2= solidarietà, articolo 3=stato sociale, articolo 11=pace. Se non ricordo male è la nostra Costituzione, interessante che mi giunga dall’Olanda il richiamo a quello che io non ho saputo fare. Non so, forse domani le sardine torneranno nel profondo bigio dell’Adriatico, ma oggi ci sono, qui, là, vive, allegre e promettenti. E io non so che guardare e tentato a criticare, solo in compagnia di ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.