Ho capito di non essere un vuoto a perdere sepolto nella sterminata discarica dell’editoria letteraria nella primavera del ’95. Allora, mentre mi aggiravo con circospezione per via Andegari 6 alla ricerca di qualcuno che, senza offesa, mi confermasse se quello che avevo appena pubblicato era senz’altro il mio quarto, vasto insuccesso, mi venne incontro questa signora Inge, fino allora solo fuggevolmente e rarissimamente intravista, e mi prese e mi abbracciò ordinando all’universo intorno: uno sciampagnino per Maggiani, uno sciampagnino per il nostro autore! Il Coraggio del Pettirosso aveva avuto la sua prima ristampa. Da allora ci siamo divertiti un sacco io e la signora Inge. Ci piaceva ad esempio andare ai premi, ci piaceva andare sicuri di perdere e magari invece vincerli. Allora ballavamo, era una gran ballerina, forse un tantino fantasiosa ma leggera e musicale; abbiamo ballato la beguine nel salone del Principe di Piemonte a Viareggio, ci accompagnava al pianoforte nientedimeno che Roman Vlad, abbiamo ballato il valzer all’inglese in Piazza San Marco dietro al complesso del caffè Florian, la Comparsita in piazza di Spagna magistralmente arrangiata alla fisarmonica da uno zingaro. E ci piacevano gli sciampagnini, un bel po’ di sciampagnini, però senza mai perdere conoscenza. Mi ha insegnato parecchie cose la signora Inge, mi ha insegnato a tenere sempre slacciati il primo e l’ultimo bottone del gilet, mi ha insegnato a non aver paura di niente, e se proprio non potevo far a meno di aver paura, di tenermela per me, lei che la vita gli ha dato diverse buone ragioni di averne, lei che sapeva far vedere così bene di non aver paura di niente. Di lei ho un fazzoletto rosso che mi ha regalato perché lo tenessi sempre nel taschino della giacca e un mucchio di bigliettini che mi ha spedito nel tempo assieme a ritagli sforbiciati da giornali tipo L’eco della Valsugana e Frankfurter Allgemeine Zeitung; aveva una scrittura di impervia decrittazione, era impensabile chiederle cosa mai mi avesse voluto comunicare e quei biglietti sono perlopiù irrisolti, meglio così, meglio fantasticare. La signora Inge non lascia nessun vuoto, nessun sincero rimpianto; lei era una superstite, l’ultima di un mondo di uomini e imprese che è finito, naufragato da un pezzo. Se oggi vai in giro a dire che l’editoria non è il posto per far soldi ma per far circolare le idee, ti prendono per un patetico cretino; lei lo diceva, e la cosa per cui le ho voluto un gran bene è che ci credeva, ci credeva davvero.
Il Secolo XIX, 20 settembre 2018