Cos’è oggi agli occhi del mondo, dell’umanità intera, il sistema liberal democratico su cui l’Occidente ha fondato la sua superiorità morale, economica, culturale e politica, se non una crudele pagliacciata seminatrice di sofferenza, corruzione, morte e tradimento? E cos’è agli occhi di se stesso e dei suoi popoli? Se la più nobile e grande democrazia liberale globale prendesse sul serio se stessa, avrebbe già condotto davanti a una corte marziale l’attuale comandante in capo delle sue forze armate, lui e i suoi tre predecessori, ovvero gli ultimi quattro presidenti, e giudicarli per alto tradimento, aggiungendo per l’ultimo la codardia di fronte al nemico. Altrettanto dicasi per i capi supremi dell’Alleanza Atlantica e per i governi d’Europa e del Commonwealth passati e presenti; perché, sia chiaro, la vergogna di Kabul va spartita equamente tra tutto l’Occidente belligerante in nome degli alti valori, anche se ora, vigliaccamente, se ne provvede a traslare le responsabilità sulla groppa del fratello maggiore. Sconfitta americana, si ride sotto i baffi da noi, e è sconfitta dell’Occidente intero. Ma non ci sarà né giudizio di popolo né giudizio di Dio, perché, per l’appunto, è da un pezzo che il nostro sistema liberal democratico non è più una cosa seria. Le immagini, i simboli, le metafore forti della pagliacciata ce li ha sotto gli occhi tutto il mondo. Una per tutte, il presidente afgano Ashraf Ghani in fuga con le valige che traboccano di buona valuta estera, il figlio prediletto di vent’anni di occupazione, democraticamente eletto comprando voti a man bassa con i soldi dei contribuenti, che non sono manco suoi, ma i nostri. Molti hanno ricordato la Saigon della disfatta, a me viene invece in mente la disfatta di Cuba sessant’anni or sono, la fuga su un aereo della CIA, con tanto di traboccanti valigie di dollari svolazzanti, del presidente Fulgencio Batista, democraticamente eletto con i voti comprati per lui dalla mafia di Cosa Nostra; e siccome la storia si ripete sì come farsa, ma tragica farsa, bisognerà pur ammettere che, con tutto il rispetto per i sinceri democratici e tanto di cappello per gli anti communisti, i barbuti di Fidel Castro erano un filo meglio dei Taleban. Ma i pagliacci e i vigliacchi non hanno vergogna di niente, e ecco che il giorno dopo l’ignominiosa sconfitta stiamo già a parlare di trattare con il vincitore, del resto i barbuti si son fatti più moderati, più disponibili alla spinosa faccenda dei diritti umani; così tratteremo di questione femminile con quelli che lo scorso maggio, non vent’anni fa ma ieri, hanno ucciso 84 studentesse di una scuola femminile di Kabul e 14 tra pazienti e infermiere nel reparto maternità dell’ospedale. Ho ascoltato le parole di un generale, un consulente di affari militari dell’Alleanza; affermava che, se Kabul oggi si è arresa in una settimana mentre dopo la ritirata sovietica ha resistito per quattro anni, ciò è dovuto al fatto che i sovietici avevano lasciato dietro si sé uno apparato statale e un esercito che aveva introiettato alcuni principi forti e una corruzione tollerata solo fino a un limite non valicabile, cosa di cui noi, lui dice, pur avendo avuto più tempo non siamo stati capaci. E così i popoli del mondo che giacciono sotto il tallone di ferro dell’arretratezza e dell’oppressione ora sanno che per potersela cavare tutto è meglio delle nostre bandiere e delle nostre promesse, ma proprio tutto.