È morto Gino Strada, chi gli ha voluto bene, chi lo ha ammirato, chi ha goduto della sua opera potrà rassegnarsi alla sua morte, con il tempo lo farà, ma non si rassegnerà mai all’idea che se ne sia andato dalla memoria, dissolto nella smemoratezza. Il ricordo è promessa di vita eterna, finché Gino Strada sarà nei nostri pensieri, finché ci imbatteremo in lui, finché agiremo ricordandoci del suo agire, sarà ancora qui. Cosa dovremo fare perché questo accada? Innalzargli un monumento, magari equestre visto che era un cavaliere senza macchia e senza colpa, oppure innalzare un ospedale, ancora uno dei suoi ospedali, “scandalosamente bello” come quello che ha appena realizzato assieme a Renzo Piano in Uganda, magari, se possibile, ancora più scandaloso e bello? Un bel gesto di pietra e bronzo che col tempo i cani impareranno a considerare adatto per orinargli contro, o un buon gesto di importanza vitale per tutti coloro che sono orfani della sua opera? Non servirà neppure intitolarglielo quell’ospedale perché il suo spirito sia presente e vivo. Forse sì una fotografia del suo volto da qualche parte, meglio all’uscita, che quando qualcuno tra un secolo passandogli accanto chiederà chi è, gli sarà risposto, quello che ti ha appena salvato la vita. Perché la verità è che niente riscatta la morte se non la vita. E non c’è monumento, legge, rito o cerimonia che possa rimediare all’assenza, ma lo può fare la perseveranza nell’essere e nell’agire nel nome dell’assente, che è memoria viva, memoria che si rinnova in ogni momento. E questo vale per tutto e per tutti, vale anche per il Ponte, per ciò che ci apprestiamo a fare perché le vittime della sua catastrofe siano ricordate, perché la loro morte non sia assenza, sparizione, dissolvimento. Non saranno targhe, cimeli e belle simbologie a fare una cosa viva di quel luogo marchiato di tragedia, ma ciò che prenderà vita a riscatto dei suoi morti. Se Certosa sarà un buon posto per vivere, più buono di come sia mai stato, se tra via Porro e via Fillak ci sarà gioventù per la strada e alle finestre, se sotto il Ponte ci saranno bambini a scorrazzare e vecchi a leggere il giornale riconoscendosi tra loro e sorridendosi, se la sera, con le luci adatte alla discrezione, ci si fermeranno dei ragazzi a baciarsi, allora ciò che si sarà dissolto sarà solo il male. E basterà che da qualche parte ci siano le fotografie dei volti di chi lì ci ha perso la vita perché tra un secolo qualcuno si chiederà, chi erano? E ci sarà qualcuno che dirà, sono i fondatori di questo bel posto. E vivranno in eterno tra noi.