Chi, l’altra sera, al teatro alla Scala ha applaudito per dieci, straordinari, interminabili minuti il più alto rappresentante ella Nazione, il presidente della Repubblica? A star dietro alle dichiarazioni dei redditi, solo l’un per cento dei contribuenti italiani avrebbe potuto essere lì, sempre troppi per i 2030 posti disponibili; diciamo allora che ad applaudire il Presidente e, già che c’era, la messa in scena di un vecchio pezzo di repertorio del teatro musicale verdiano c’era l’avangurdia dell’élite economica del Paese. Che nella fattispecie era anche la retroguardia dell’élite culturale; il teatro musicale è stato fino a un secolo fa una forma viva e progressiva della cultura popolare del Paese -per un certo periodo ha tenuto persino assieme le élite economiche e le masse lavoratrici- ma è un bel po’ che è roba morta, repertorio appunto, e con il repertorio si possono nutrire dignitose nostalgie di conservazione ma proprio nessuna spinta progressiva e vivificante della cultura, elitaria o di massa che si preferisca; e lo dice uno che sa a memoria tutta quanta la Boheme in ogni sua parte canora. Chi, il giorno prima, applaudiva a una fermata della metro romana il delinquente che aveva picchiato a sangue, strappandola dalle deboli mani del personale addetto alla sicurezza, la ragazza che aveva appena tentato di soffiargli via il portafogli? A prestar fede al rapporto CENSIS, la massa, l’immensa folla degli italiani che vive incattivita nel rancore, nella disillusione e nella solitudine. Per ovvie ragioni di spazio in quella metro ne era presente solo un modesto manipolo, un’avanguardia, l’avanguardia del popolo che si è dato alla cattiveria perché con le buone maniere nessuno ti sta a sentire, quello che un tempo è stato il popolo delle maniere gentili. Un’avanguardia sociale a suo modo quella della metro romana, e nel contempo una retroguardia culturale, perché non c’è nessuna energia vivificante e progressiva, nessun progetto di luminoso futuro conquistabile a colpi di caci e pugni, ma solo vecchi retaggi di bestiali autobiografie politiche. L’avanguardia della Scala e quella della metro sanno l’una dell’altra, ma non si parlano, non si toccano, si tengono alla larga l’una dall’altra; l’élite perché non ha niente si serio da dire e da offrire, la massa rabbiosa perché si è stufata di chiedere e chiedere e chiedere a quelli che alla fine se la cavano sempre benone. Il rapporto CENSIS ci dice che ciò che ha fatto incattivire di più il popolo è stato scoprire che dopo due pesanti crisi economiche che si è caricato sulle sue spalle, di quel po’ di ripresa che c’è stata non ne ha minimamente beneficiato, quello che c’è stato da spartirsi se lo sono spartiti gli “altri”. Negli ultimi dieci anni i salariati di questo paese si sono messi intasca in tutto 400 euro in più, i loro vicini di Francia 6000. I quali vicini, sentendosi purtuttavia risotti alla miseria, alle miserie, stanno proprio in questo momento mettendo a ferro e fuoco Parigi; non viene da pensare che lassù, tra le rosse poltrone del più prestigioso teatro d’opera d’Italia, a qualcuno sia passato per la testa che finché si pigliano a calci e pugni gli zingari si stia almeno evitando il peggio?
Il Secolo XIX, 9 dicembre 2018