Nella tomba di Aurelio Saffi nel cimitero di Forlì è incisa la frase “Io Credo nella Vita”. Nel caso tra i lettori si fosse ingenerato qualche dubbio, Aurelio Saffi non è fondatore del movimento antiabortista, ma uno dei maggiori rivoluzionari repubblicani del nostro Risorgimento, triunviro della Repubblica Romana, uomo di radicale sentimento antipapista che se aveva un dio non era cero quello di Luigi Gedda. Sono un grande estimatore del pensiero di Aurelio Saffi e trovo bellissimo il suo motto, anch’io credo fermamente nella vita, e credo che un uomo giustifichi la sua esistenza proprio per quanta vita sappia generare, sostenere, promuovere; al pari di Aurelio Saffi sono un progressista radicale e non sono un antiabortista. Dico questo perché nei giorni scorsi ho avuto con mia moglie una delle rare discussioni tra noi, noi che siamo d’accordo su quasi tutto. La discussione verteva sul mio diniego a partecipare a una manifestazione contro le politiche governative sull’immigrazione, in favore dell’accoglienza e dell’integrazione; ne facevo una questione di linguaggio, e dunque di sostanza, tale e quale il governo che sul linguaggio ha eretto un universo parallelo. Mi spiego; io credo che l’errore principe, e mortale, dei progressisti sia quello di sottomettersi sempre e comunque all’ordine del giorno imposto dagli avversari, di accettare lo scontro sul campo di battaglia scelto da altri, opporsi sulla difensiva invece di attaccare proponendo. Nella fattispecie, io so che l’immigrazione è un problema, non il problema, come mi impone di credere l’infelice, tenebroso, spaventoso universo parallelo costruito da Matteo Salvini; io credo che il problema dell’immigrazione sia parte di un problema più grande, quello sì il problema. Edificare una comunità vitale, prospera e benigna o lasciarsi consumare dal sentimento di sconfitta, decadenza e infine di morte? Una comunità vitale si applica perché ad ognuno sia concesso un lavoro dignitoso, un salario equo, una casa decente, un’istruzione adeguata, una sanità efficace, un tributo ragionevole, forse che l’immigrazione è l’ostacolo a questo vitale progetto? Vogliamo scherzare? Così ho detto a mia moglie, vengo se la manifestazione avrà per parola d’ordine “per amore della vita”. Ma, lei ha obiettato, così ci scambiano per una manifestazione di antiabortisti. E dunque?, perché mai regalare agli oscurantisti le parole della luce? Crediamo nella vita, vita vogliamo edificare, sostenere e promuovere, è per amore della vita che vogliamo affrontare i problemi che la vita ci impone, cominciamo col riprenderci le parole che ci appartengono, assieme alle parole ci riprenderemo anche la sostanza e la nostra ragione di esistere. Non è una faccenda semplice, lo so, io e mia moglie non abbiamo ancora trovato un accordo, ci lavoreremo su.
Il Secolo XIX, 11 novembre 2018