Il lutto è raccapriccio e sgomento, nero silenzio. Il silenzio non è muto e non è vuoto, il silenzio è pieno di memoria; nel silenzio parlano, e a volte cantano, voci, appaiono, scivolano via e si ricompongono immagini, la memoria fa il suo lavoro indefessa, perché chi resta possa vivere bisogna che colmi i vuoti. Ieri, nel silenzio, nel nero silenzio di Genova, silenzio di scalpiccio di passi, silenzio di teste chine, mi è presa, inaspettata e incongrua, una gran nostalgia, una tenera, struggente nostalgia di un mattino di Genova di forse vent’anni fa. Un bel mattino di sole, di silenzio di scalpiccio di passi e di teste all’insù. La città si era svegliata con via San Lorenzo sgombra da un inferno di tram e rimessa tutta quanta a nuovo, linda, splendente, e a metà mattino Genova era tutta lì con il naso all’insù, silenziosa e stupefatta di tutta quella bellezza. E se la godeva come se la città fosse tornata tutta quanta bambina, e il giorno dopo e quello dopo ancora ogni scusa era buona per ritrovarsi ancora lì in San Lorenzo, c’era chi si era messo in viaggio sin dalla remora delegazione di Sestri Ponente. Giorni di Genova liberata, ancora una volta liberata con le sue mani. Erano stati anni di teste chine quelli, la città piegata nel lutto di molte sconfitte, chi c’era ricorderà, ma quel mattino in San Lorenzo con il naso volto all’insù, tutta Genova guardava la sua bellezza e più su ancora, fino al cielo. E davvero si sentiva rinata. Questo nel giorno del lutto mi ha regalato la memora che lavorava nel silenzio, questo, e cioè poco più di niente, tutto quello che ho da dare il giorno dopo per la vita.
Il Secolo XIX, 19 agosto 2018