Questa è una storia di ignoranza e superstizione, una storia di poveri contadini del ‘900, tali e quali quelli dell’800 e di ancor prima. Dunque, mi hanno raccontato che quando ero molto piccolo mi sono gravemente ammalato, la gravità della malattia era tale che il dottor Rocchi, il medico condotto del paese, si risolse per l’estrema delle evenienze, portarmi all’ospedale in città. A quel tempo e per quella antica ignoranza contadina l’ospedale non era il luogo della guarigione, ma l’oscuro sacello da cui non si tornava, in particolare nel caso di un bambino poco più che neonato, cosicché la famiglia si risolse per un estremo, ultimo appello alle sue risorse, e mia zia Carla fu mandata nottetempo in Vespa in una casa perduta nella montagna a sollecitare l’aiuto della matriarca, la mia bisnonna, già nota non solo in famiglia ma in tutti i paesi del circondario per le sue doti di guaritrice. La vecchia strega arrivò poco prima dell’alba, mi guardò, mi tastò, e diede immediatamente ordine di mettere una marmitta di acqua sul fuoco, quindi mi spogliò delle mie fasce e le mise a bollire mentre con un forchettone le infilzava senza tregua recitando le sue misteriose preghiere pagane. Non era ancora giorno che bussarono alla porta, era la Elide (nime di fantasia) che abitava di là dalla nostra vigna, piangeva straziata e pregava darle pace e di smetterla di ferirla. Intanto io avevo già preso colore e a vagire tranquillo, prima di mezzodì non avevo più febbre e prima di sera il dottor Rocchi, con suo grande stupore e ammirazione, mi ha dichiarato in via di guarigione. Questa storia mi è stata raccontata quando ero già adulto, e nonostante sia un tipo piuttosto emancipato e di studi non superficiali, non ho mai dubitato della sua veridicità. Ho chiesto solo ai miei vecchi come mai poi avessero vissuto in familiarità con la Elide e io stesso fossi cresciuto senza alcuna obiezione a frequentare la sua casa, ad accettare la sua frutta e i suoi biscotti che dividevo con i suoi nipoti che divennero poi amici miei. Mi è stato risposto che la Elide non sapeva il male che mi stava facendo, che c’era una forza dentro di lei su cui lei non aveva potestà, che le era bastato provare il dolore inflitto alla sua anima dal santo forchettone della matriarca per prendere coscienza di ciò che stava combinando, in effetti a quel tempo anche il suo nipote prediletto stava molto male e forse le era presa una segreta e inconsapevole invidia per la mia salute, può capitare, l’importante è che le cose vadano per il meglio. Questo mi è stato detto, ovviamente in dialetto e dunque con molta più efficacia e colore. Perché ho raccontato questa vecchia storia? Perché in questi giorni mi è venuto spesso da pensare di essere cresciuto in tempi migliori, tempi dell’ignoranza e della superstizione, tempi della miseria, tempi dove per quelli come noi, per i miserabili, non erta così certo di poter arrivare a sera sani e salvi; eppure tempi umanamente molto più ricchi e interessanti, e assai meno torvi e volgari e superficiali e crudeli di questi. Ma è sempre così, si stava meglio quando si stava peggio.