La Bellezza di Renzo Piano
Da bambino sognavo Genova, era un sogno ricorrente, ogni volta aggiungevo qualcosa a una città che si faceva infinita e meravigliosa. L’avevo vista un’unica volta, avevo sei anni e ci ero arrivato dal Bracco su una Topolino, era prima mattina e l’ho vista scorrere dal finestrino che ero ancora mezzo addormentato, chissà, forse stavo ancora sognando, Corso Europa, Brignole, la Foce, Corso Italia, Sturla, mi stavano portando al Gaslini, andavo a guarire, e intanto guardavo una meraviglia di ignote vastità e inimmaginabili bellezze, ho continuato a sognarla così, e aggiungevo strade aeree e palazzi nel cielo, scogliere irte e ferrose e un mare del colore di un cupo smeraldo, come di un altro pianeta. Ho vissuto a Genova in quattro diverse case, ho guardato il panorama della città da quattro diversi balconi, l’ho camminata a piedi incessantemente da Nervi a Voltri, dal Gazzo al Diamante, ma non ho mai smesso di vederla dal balcone di un sogno; vivo in questa città ancora come un bambino appena svegliato che comincia a guardare e scopre a ogni passo come sia sorprendente e difforme. E non c’è contingenza, incidente della nuda e cruda materia che mi abbia mai indotto a uno sguardo diverso, a ritirarmi dalla meraviglia nell’ansia di un sogno sbagliato, nello spavento di un brusco risveglio, e ho casa alle Vigne non all’Apparizione. Allo stesso modo la racconto e la scrivo, spartendo questa mia città con la materia della parola. Renzo Piano è un edificatore di città, dunque è un sognatore di città, non è possibile edificare alcunché senza un sogno, non c’è progetto che possa reggersi sulle leggi della materia senza che sulla materia volga uno sguardo sognante. Ma i sogni di Renzo Piano non sono i miei sogni, il suo sguardo genera materia e edifica nella materia, e non offre parole da spartire, ma spartisce materia del vivere, e cambia le vite, le vite di intere comunità, le cambia nel segno della meraviglia, edificando materia di meraviglia. Così che le comunità possano concedersi al sogno, iniziare a sognare, riprendere a farlo, e dunque a creare, rigenerare, rivivere, e i sogni abbiano riparo dalla bruttura e prosperino nello stupore. Dove se non in questo c’è bellezza, materia di bellezza, bellezza equanimemente spartita e condivisa nel vivere, umanità al riparo nella bellezza, solida, affidabile, leggerissima bellezza. Mercoledì parleremo assieme di questa città, per questa città, non so ancora in che modo, ma chi vorrà ascoltare capirà senza fatica alcuna come sia forse possibile vivere in dignità senza lo sguardo sognante di un romanziere, ma certamente impossibile senza trovare riparo nella meraviglia dell’utile bellezza degli edificatori.
Il Secolo XIX, 29 aprile 2018