In occasione del 2 Giugno, festa di questa Repubblica per chi ne avesse perso memoria, 600 ragazzi del liceo di Faenza, 600 su 1300, hanno pittato un lenzuolo che hanno nottetempo appeso sulla facciata della scuola e lì è rimasto per tutto il giorno di festa; nel lenzuolo era scritto: 600 studenti del liceo Torricelli per una Repubblica Umana. Non smetto di pensarci, seicento ragazzi sono tanti, e si sono messi insieme per una cosa così astratta, e strana, una repubblica umana. Cosa pensano in realtà, cosa intendono qualificando la repubblica con l’aggettivo di umana? Io non ne ho mai sentito parlare di repubblica umana. Ho dimestichezza con la repubblica democratica, con la repubblica presidenziale e parlamentare, con la repubblica delle banane e con la repubblica dei soviet, ma che cosa sarà mai una repubblica umana è un’idea che mi sfugge. Cosa avranno per la testa quei ragazzi? Sì, avrei potuto chiederlo a loro, ma ho preferito provare a cavarmela da solo, cimentarmi in un pensiero mai avuto. L’umano suscita in me decisi sentimenti di ambivalenza. Da un lato sono naturalmente portato alla solidarietà di specie, nell’umanità vedo il vertice della scala evolutiva, l’essere più bello mai creato, e non vorrei essere altro che umano. Dall’altro il mio essere umano mi dota della speciale e unica condizione di creatura dotata di discernimento, segnata dalla tragedia del libero arbitrio, la disgrazia originaria che l’ha condotta fuori dall’Eden dell’eterna innocenza della condizione di natura, e mi scopro dotato di un potere terribile che sto esercitando in modo orribile. E mi viene in mente il crudo aforisma di Mark Twain, il più lucido e fervido tra i sinceri repubblicani d’America: io non domando di che razza è un uomo; basta che sia un essere umano, nessuno può essere qualcosa di peggiore. Capito, ragazzi? No, loro non sono così avanti nell’autocoscienza. Credo infine di capire cosa pensano quei seicento. Pensano che la Repubblica possa essere ben peggio che umana, essere addirittura disumana. E questo lo penso anch’io. Io stesso che, a differenza loro, ho coscienza di quanto sia pericoloso concedersi senza riserve all’umano, considero quest’ultima edizione della Repubblica e constato quanto sia prossima a rinunciare a quello che comunque resta in facoltà dell’umano, scegliere per il bene. Che non è dei coccodrilli, non è dei lupi, non è dei passerotti, ma solo nostro. Loro, gli altri esseri non scelgono, hanno la fortuna di vivere per natura nel bene almeno della loro specie; noi, che siamo chiamati a scegliere, stiamo scegliendo per la disumanità; né umani né inumani, diavoli direbbero i credenti.
Il Secolo XIX, 9 giugno 2019