Adesso qui da noi è tempo di potare, hanno iniziato con la vigna del riesling e da domani andranno nel sangiovese. Ora, prima che torni a nevicare, ma se poi nevica poteranno lo stesso, poteranno nella neve; è un lavoro che va fatto al suo tempo, tutto quello che sarà dell’annata a venire è deciso in questi giorni da una potatura a regola d’arte, Non è ancora giorno e tra i filari già sussurrano le cesoie ad aria compressa; come in un canto, come un blues sommesso e potente, dolente e insistente. Un potatore per filare, facce nere sotto i berrettacci di lana, giacconi sfondati, stivali di gomma incrostati di fango fino al polpaccio, guanti da lavoro grossi e spessi, e mani nere quando si tolgono i guanti ghiacciati di brina e ci alitano sopra per dargli quel po’ di sensibilità per continuare il lavoro. Negri nei vigneti a potare nei giorni della merla, ne conto nove e con loro un  solo nativo, Adriano, Adriano si tiene appresso un ragazzone, mi sembra un berbero, lo sta addestrando, lui è vecchio, vuole andarsene in pensione, ma prima deve preparare la successione. Imparano in fretta  e bene, qui i lavoratori della vigna sono tutti marocchini e senegalesi e sono diventati molto bravi, mi ha detto il nostro vicino, lui ha venti ettari di vigna, che nel comprensorio del Brunello e del Rosso di Montalcino le vigne sono tutte lavorate da una cooperativa di immigrati marocchini, hanno la responsabilità della produzione più prestigiosa del Paese. Non un solo giovane di qui ha scelto di imparare l’arte del vignaiolo; abbiamo un ottimo istituto agrario, addirittura produce in proprio del vino di alta qualità, ma pare che i diplomati si vaporizzino, i figli dei contadini aspettano quieti di diventare eredi, gli altri non si sa, a volte ti capita di trovarne uno a fare il buttafuori di una discoteca. Guardo lavorare quegli uomini e vedo la delicatezza del gesto di mio nonno, l’ultimo vignaiolo di casa mia, prima di morire li ha lasciato la sua cesoia perché non facesse ruggine intanto che mi decidessi a mettere in  pratica quello che mi aveva insegnato, è ancora con me, ben affilata e inutilizzata, mi sembrava di a    vere imparato ma mi sbagliavo, altrimenti ci sarei io lì; loro che lavorano così bene non godranno un bel niente del frutto di quei vigneti, che non sono i loro, che non sono usi a bere vino, ma hanno imparato a potare con lo stesso ardore con cui si impara a nuotare in mezzo al mare, per non affogare, è un buon modo. A mezzogiorno li rivedo sotto una tettoia, la schiena poggiata alle loro Punto e Fiesta vecchie di vent’anni, contenti del loro pane, allegri mentre tracannano da un bottiglione da due soldi un’aranciata più gialla del sole che prima o poi si vedrà, per la Candelora dell’inverno semo fora.

Il Secolo XIX, 3 febbraio 2019