E così anche i muretti a secco sono diventati Patrimonio dell’Umanità. Sbagliato, non sono i muretti eletti a patrimonio, ma il lavoro che li ha eretti, l’intelligenza, la fatica, l’inventiva umana applicata a realizzare un manufatto che per i turisti che passano a dargli un’occhiata appare come un’opera d’arte e per i disgraziati che li hanno tirati su nel corso delle generazioni l’unico modo per cavare dalle peggio condizioni possibili il minimo indispensabile per non morire di fame. Infatti in questo caso l’UNESCO ha sancito che il patrimonio è immateriale. Peccato, fosse stata proclamata patrimonio dell’umanità la materia dei muretti, i discendenti dei costruttori potevano nutrire la speranza che l’umanità si facesse carico di tenere in piedi quello che ne resta, visto che, almeno qui da noi, loro hanno nel frattempo trovato altri e meno disperati modi di sostentamento e gradirebbero non tornare a spaccarsi la schiena: quella è roba dell’umanità, e allora, su, un ciapone a testa e rimettiamo a posto tutto in un attimo, i beneficiari del patrimonio sono o non sono sette miliardi?  In effetti questa faccenda del Patrimonio dell’Umanità ha degli aspetti che destano una qualche perplessità. Prendiamo ad esempio le Cinque Terre, ma andrebbe bene qualsivoglia sito patrimoniale sparso nel mondo; da quando sono state decretate suo patrimonio, l’umanità si è riversata a frotte per goderselo, e per farlo ci ha speso e ci sta spendendo un bel po’ di un altro suo prezioso patrimonio immateriale, quello in valuta. E qui, nell’attimo in cui scaturisce la valuta, succede una cosa bizzarra, il patrimonio cessa di essere dell’umanità e diventa dei rivieraschi, che si stanno arricchendo con una roba che, se le parole dicessero la verità, non è loro, ma dell’umanità intera. Se le parole dicessero il vero, l’umanità non si godrebbe il suo patrimonio dandoci un’occhiata una volta nella vita, ma condividendone la gestione e spartendosi i frutti, non vi pare? Certo, un astuto usurpatore potrebbe dire: sì, io mi cucco il frutto del nostro patrimonio, ma guarda come te lo tengo bene, quando te lo renderò vedrai che interessi. Ma forse che oggi le Cinque Terre, tanto per dire, sono meglio conservate, curate, rispettate nella loro straordinaria unicità di quanto non lo fossero al tempo che erano patrimonio esclusivo dei rivieraschi? No, io ho memoria e so che no, sono peggio tenute di allora, a meno che la loro straordinaria unicità non consista nei ristorantini e nei negozi di ricordini. Ma le parole si dicono così, tanto per dire, e “Patrimonio dell’Umanità” è proprio un bel modo di dire; tra parentesi ho la sensazione che buona parte dell’umanità, quella che ne sarebbe più bisognosa, non sia stata nemmeno avvisata di avere un patrimonio, immagino per prudenza, per non incorrere in spiacevoli fraintendimenti.

Il Secolo XIX, 2 dicembre 2018