La memoria non è un’istituzione, non è una materia di studio e men che meno è una ricorrenza, la memoria è un atto del vivere, la memoria sono io, la memoria sei tu, la memoria è ciò che riponi assieme allo stretto necessario nello zainetto interiore che carichi sulle spalle ogni mattino per andare a vivere, e per questo la memoria non è materia inerte, non è reperto, ma materia viva, plasmatica, in continuo fermento con il tuo vivere, come il lievito del pane, e come il lievito va ravvivato giorno per giorno, e dunque, la “giornata della memoria” è un brutto ossimoro. Digitate sulla finestra del motore di ricerca Google “campo di sterminio di Auschwitz”. La prima voce che apparirà è “Campo di sterminio di Auschwitz, Cracovia, Viaggia senza pensieri con GetYourGuide! Servizio clienti attivo 24h. Ingresso VIP. Le offerte migliori. Prenota facilmente online. Miglior prezzo garantito. Prenotazione veloce, valutazione: cinque stelle”. Perché questo è oggi Auschwitz, una comoda, economica gita istruttiva in un ordinato, lindo museo dove possono accedere senza disturbo i VIP; ma i musei non sono memoria viva, i musei sono orme fossili, repertori inanimati, cataloghi, astrazioni. Mi si chiedesse un’opinione, io abbatterei Auschwitz, lascerei giusto un segno di materia, un grumo chiarificatore, ma abiterei l’intero suo paesaggio con i ritratti del milione e mezzo di umani che lì sono stati consumati, uccisi, eliminati; i nomi e i volti di ognuno, e chi vorrà, dovrà armarsi di pazienza e guardare negli occhi uno per uno gli abitatori di Auschwitz, scoprirà che di umani si tratta, qualcuno somigliante persino a se stesso, tutti indistinguibili da ogni altro umano, e non solo gli ebrei, ma persino i comunisti, gli zingari, gli omosessuali, i prigionieri di guerra. I volti, gli sguardi, non si riesce proprio a dimenticarli, si ficcano nello zainetto e lì restano, memoria viva e incomoda, la memoria non è sempre conforto, la memoria è anche peso e lavoro, sempre pronta a farsi largo inaspettatamente, anche quando nel tuo zainetto frughi per cercare qualcos’altro. I volti e i nomi, insisto, perché ogni strategia di aggressione, guerra, sterminio, eliminazione, ha come primo atto necessario la costruzione di un nemico disumano, dunque senza nome e volto riconoscibili tra gli umani, esiste l’ebreo parassita, profittatore e straniero, non esiste Liliana Segre. E visto che di memoria si tratta oggi, vorrei rammentare, nel caso fosse necessario, che Auschwitz è stata la soluzione finale non la primaria; la prima scelta del regime nazionalsocialista è stata l’espulsione; ma non ha funzionato, non ha funzionato perché, con tutti i problemi economici e sociali che ancora opprimevano alla fine degli anni ’30 del secolo passato l’Occidente, nessun paese se l’è sentita di aprire le frontiere a un’invasione di ebrei espropriati di ogni bene. Ah, la seconda scelta fu il confinamento in Madagascar, ma la Francia, che in quell’isola aveva suoi interessi, disse neanche a parlarne.

Il Secolo XIX, 27 gennaio 2019