C’è una crosa che dagli scali della Certosa sale fino al Belvedere e dal Belvedere fin su alle fortezze collinari, si chiama Salita della Pietra e arrampa diritta per angusti orti di sassi, stecchite chiudende di ulivi, capanne sfondate per la cura di vigne da un pezzo dismesse, si prende un po’ di respiro davanti al cancello di una casa di vecchia signorilità senza più eredi e poi, inverosimile, s’infila senza paura dentro il Ponte. Nelle interiora del Ponte, in mezzo alle sue trippe, tra i tiranti, i piloni, le capriate e i cassoni, ombre e penombre e getti di luce, echi del trafficare lassù nelle corsie, gemiti, sibili, ruggiti di materia che freme, le fauci imbevute del gemizio di indecifrate vene d’acque e catrami di uno spermaceti megalito. Ci sono andato e riandato in Salita della Pietra proprio per questo, per passare dentro il Ponte, per palparlo, compulsarlo, spiarlo, constatare la sua immaginifica vastità, l’inverosimile complicazione, l’angosciante pesantezza, e adocchiare sgomento la vertigine della sua prospettiva. Perché il Ponte è lì, è lì dove è Genova, è sua parte e suo vivere; il vivere di Genova sempre e ovunque sul filo de rasoio, Genova che vive sui precipizi solo perché è ben fatta, solo dove è ben fatta. Il Ponte era ben fatto, tanto ben fatto da essere anche bello, bello della bellezza che si scopre nell’assidua familiarità, nella confidenza; centinaia di famiglie hanno accettato di vivere sotto il Ponte, non sono vite d’accatto, sono vite di via Fillak, nobili vite operaie, famiglie per bene; c’era da fidarsi a stare sotto il Ponte, come era possibile non fidarsi di tanta grandezza e maestria, vivere sotto il Ponte non è stato vivere sotto i ponti. Genova tutta ha confidato nel Ponte come ha confidato nell’Acciaio e nell’avvenire, e nell’intelligenza degli ingegneri che sanno far bene le cose, e in se stessa che le sa fare, che le può fare, che deve farle. Ci siamo ficcati giù a capofitto dagli svincoli e dalle bretelle sul Ponte con cieca fiducia mille, centomila volte, non ci si sale su quel megalito senza cieca fiducia, il Ponte non può venir giù, non è proprio possibile, è come se venisse giù tutta Genova. Ieri è venuto giù il Ponte, hanno detto che è stato un cedimento strutturale; stupidaggini, è stato un cedimento morale, un cedimento spirituale, un cedimento civile, e infine forse anche strutturale. Genova non ne è stata ferita, Genova è stata ammazzata, impiccata a una campata, tale e quale il partigiano Fillak.

Il Secolo XIX, 15 agosto 2018