È sabato, sono le tre del pomeriggio e bisogna che cominci scrivere; sono lento in questo lavoro e non me ne dispiace, è un lavoro di artigiano e come dice ogni artigiano “ci vuole il tempo che ci vuole”, ma mi occuperà tutto il pomeriggio e così non potrò scrivere delle due cose che in questo momento più mi interessano, e che probabilmente stanno interessando anche a voi. Non posso farlo perché, semplicemente, devono ancora succedere, l’incontro delle “sardine” a Roma in piazza San Giovanni e il derby. E allora di cosa mi metto a raccontare? Di niente, perché la mia testa è lì e là, equamente spartita tra Marassi e San Giovanni, e mi sa che mi devo prendere anche qualche goccina di bromozepan perché mi sta prendendo l’ansia, la stupida, devastante ansia dell’attesa, l’attesa sull’ultima spiaggia. Il che non va bene per niente. Non va bene ridursi sul bagnasciuga di un’ultima spiaggia, mai e per nessuna ragione. Il tema dell’ultima spiaggia è sempre quello, l’estrema possibilità di salvezza, l’esito è quasi sempre scontato, e non è augurale. Ma davvero questo è un sabato a Dunkerque? Sono doriano, ma fossi anche genoano come potrei non sapere che sì, siamo a Dunkerque, ficcati nella sabbia fradicia con l’alta marea che sta montando, chi vince questo derby sale sull’ultima scialuppa per restare in campionato e provare a scrollarsi di dosso lo spirito della disfatta. È solo una partita di pallone, mi ripeto inutilmente, andrà come deve andare e alla fine niente sarà perduto e nemmeno niente guadagnato di quello che conta nella mia vita e nella vita dell’universo. Vero, ma se le mie fragilità hanno inflitto la tragedia a un gioco, allora perché non mi sono fatto 400 chilometri per andare al Ferraris a partecipare della tragedia, a immolarmi o redimermi? Sono un progressista, e da progressista ancora più fragile che da doriano, sono qui che mi smangio nell’attesa di sapere se in piazza San Giovanni i pesciolini oggi saranno centomila più uno o centomila meno uno. Se ce ne sarà anche solo uno in più del previsto, allora questa inaspettata scialuppa potrà filare via dalla secca schiumosa dove è andata a spiaggiarsi la sinistra verso un mare che non so ancora dire, ma un mare aperto. Se ce ne sarà uno in meno, allora non ci sarà che restare ad asfissiare nella risacca. È solo una manifestazione, mi dico inutilmente, è solo un gesto, non l’insurrezione universale; andrà come deve andare e nulla sarà veramente risolto e nulla definitivamente disfatto. Vero, ma se sto qui a friggere mentre frugo nel net in cerca di dati attendibili o anche solo passabili, perché non ho invece preso e fatto 400 chilometri per essere là, diventare con il mio corpo quell’uno in più? Già, questo è il problema: soffriamo in molti, in moltissimi a casa, ma a muovere il culo per buttarsi nel mezzo della sofferenza sono in pochi, sempre troppo pochi.