Uno spazio per l’ANPI?
Sommessamente, con tutto il rispetto e la gratitudine dovuti e voluti all’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia e ai suoi combattenti per la Libertà e fondatori della Repubblica, ora che il Partito Democratico e il suo segretario hanno finalmente dato un po’ dello spazio, della vista e della parola che così a lungo e con veemenza l’associazione ha perorato per accreditare nel cuore pulsante delle feste dell’Unità il suo autorevole punto di vista sulle riforme costituzionali, ora che quest’ultima battaglia per la libertà si è conclusa nella soddisfacente cornice del festival dell’Unità di Bologna e i sinceri democratici presenti hanno constatato con sollievo che se proprio non l’ha vinta questa battaglia l’ANPI nemmeno l’ha persa, e quelli assenti forse si sono accorti di qualcosa o forse di niente, ora vorrei, sommessamente ripeto, dire qualcosa al presidente dell’ANPI Carlo Smuraglia, uomo che ammiro e di cui condivido grande parte del pensiero. Non ci trova qualcosa di illogico professore, come un falso suono, nel star lì a chiedere, a implorare o a pretendere, a un partito –il partito di riferimento?- un po’ di voce e di spazio? Non le sembrerebbe logico invece l’esatto contrario? Che fossero i partiti nel tempo della loro grande e forse mortale crisi esistenziale, a chiedere, supplicare un poco di spazio all’ANPI per illustrare alla Nazione le loro posizioni sui grandi temi della democrazia? Non dovrebbe forse essere l’ANPI, per statuto e vocazione, lo spazio più grande e nobile e progressivo dove si custodiscono, si discutono, si studiano e si rinnovano le ragioni fondanti della nostra democrazia? Sì, ma non lo è. Avete nel corso dei decenni innalzato centinaia di monumenti, affisso migliaia di lapidi, deposto milioni di corone, pietra fredda e fiori che seccano, forse energie e risorse potevano essere impiegate più creativamente e per più feconde edificazioni. Ci avete messo sessant’anni per prendere atto che le grandi idee non muoiono mai ma gli uomini sì, e dunque aprire l’ANPI ai non ex combattenti, alle nuove generazioni, ma a fronteggiare Matteo Renzi c’era lei, e invece sarebbe stato bellissimo e assai significativo che ci fosse stato un vent’enne, l’immagine plastica di un‘idea viva e progressiva; a parte belle ma sporadiche esperienze la vostra associazione è ancora assai più di categoria che di idee. Siete stati e siete tuttora per quel che potete assai generosi della vostra esperienza di vita e di pensiero, forse avreste dovuto essere altrettanto generosi nel consegnare assieme alla vostra memoria anche l’onere della responsabilità e dell’azione alle nuove generazioni perché la memoria non si rinsecchi ma sia plastica esperienza di conoscenza. Sono onorato di dare il mio piccolo contributo al museo della Resistenza di Fosdinovo, è un posto bellissimo dove accadono una quantità di cose interessanti e piacevoli e istruttive, ce ne sono altri, ma conosco una quantità allarmante di strutture museali che sono imago mortis di ciò che dovrebbero tenere vivo. Ecco professore, il fatto è che forse è troppo tardi perché la sua associazione sia il luogo che non è, e questa sarebbe una perdita tragica e irreparabile per l’oggi e per il domani di questo Paese, e il carico di questa perdita, mi permetta, grava innanzitutto sulle spalle di chi ha voluto caricarsi dell’onore di non consentirla.
Il Secolo XIX, 11 settembre 2016