Unioni civili
Unioni civili, ha vinto l’amore. Mi viene da piangere. Doveva essere una battaglia di valori, in effetti se ricordo bene è così che è cominciata, valori della tradizione reazionaria e valori del progressismo innovativo, è stata combattuta e vinta in modo così disgustosamente amorale che né i sinceri tradizionalisti né i sinceri innovatori possono gioire di qualcosa. Se non dei passi avanti e di quelli indietro, naturalmente, se non del fatto che qualcosa è stato dato e qualcosa è stato portato via, ma non nell’ordine morale delle cose. È immorale proclamare che abbia vinto l’amore e allo stesso modo è immorale gracidare che è stata impedita una rivoluzione contro natura. E fa anche male al cuore, e umanamente desta preoccupazione per i loro congiunti, venire a sapere che il primo ministro non abbia la più pallida idea dell’amore e il suo ministro degli interni della natura. Ma quello che fa più male, che deve far più male anche a chi ha detestato la legge sulle unioni civili, è l’intrinseca immoralità del dispositivo, la sua natura opportunistica e farisea, l’indegnità etica della lettera e della sostanza. È quella delle unioni civili una legge dello Stato che procede da un pregiudizio negativo sulla persona in base alle sue preferenze sessuali e alle sue scelte di vita. Essendo il matrimonio tra un maschio e una femmina l’unico patto e vincolo ritenuto “naturale” e dunque “sano”, chi non potesse o non volesse unirsi in matrimonio può solo stabilite una relazione imperfetta, malsana, da delimitare nei diritti e nei doveri che ne conseguono in modo che la collettività, e in particolare i suoi membri più deboli e facilmente infettabili, si salvaguardi dalle possibili conseguenze di quella unione. La cancellazione dell’articolo sull’adottabilità del figliastro è il punto più evidentemente discriminatorio, e dunque immorale, della legge che, contro ogni evidenza scientifica, presume l’inaffidabilità di un unione imperfetta e equivoca quando si tratti di mettere di mezzo delle “creature”. Giù le mani dai bambini.
Ma mi affascina, letteralmente mi affascina, un altro punto della legge così come è stata licenziata dal senato, forse secondario, ma solo apparentemente. Dico della cancellazione dell’obbligo di fedeltà tra i contraenti un’unione civile, differentemente dal matrimonio. È una grande vittoria della componente reazionaria del governo. L’unione civile è di per sé una forma scadente di relazione, e dunque è bene attestare per via di legge l’impossibilità di pretendere la fedeltà tra i contraenti. Del resto, si sa, e è una vera ossessione dei legislatori, le unioni civili riguardano solo marginalmente coppie eterosessuali -che non si spiega perché mai se il loro è vero amore non debbano sposarsi- le unioni civili sono roba da gay; e gli omosessuali, le checche, le lesbiche, i froci, loro sono menti disordinate, spregiudicate, guardateli nelle loro pagliacciate dei Gay Pride, vi sembrano capaci di restare fedeli a qualcuno quelli lì? Questo dice la legge. Esonerati dalla fedeltà per le ovvie ragioni che tutti sappiamo. E anche gli etero, appunto, loro che possono, se non si sposano è perché gatta ci cova, ci deve essere di mezzo qualche faccenda sordida, e di sicuro la fedeltà è un impiccio di cui possiamo fargli il piacere di un esonero, anche perché elevarli alla dignità della fedeltà è consegnarli a uno status che non devono pretendere. Naturalmente sappiamo tutti che pacta sunt servanda. Un patto, e il matrimonio lo è e le unioni civili dovrebbero esserlo e per questo si è fatta una legge, un patto va rispettato e ai contraenti è chiesto, se no semplicemente non è un patto ma una buffonata, di restargli fedeli, pena la decadenza. Così, se la legge toglie alle unioni civili l’obbligo della fedeltà, toglie a quel patto il suo valore fondativo e ne fa una pagliacciata. Perché non anteporre all’articolato un preambolo in cui il legislatore precisa che la materia è tutta una pagliacciata a cui è stato costretto dall’invadenza dei burocrati di Bruxelles che invece di occuparsi di fare il bene dei popoli la menano a sangue con ‘sta storia dei diritti dei gay? Sarebbe stato più onorevole e meno immorale. Ma abbiamo la parola del primo ministro che alla fine ha vinto l’amore. Bene bene bene, così adesso che ha vinto l’amore possiamo fare la guerra. La Libia è lì dietro.
Il Secolo XIX, 28 febbraio