Sinodo
Domani si riunisce il Sinodo dei vescovi cattolici sulla famiglia. Per quello che è e rappresenta il papa che lo ha indetto, questo papa Francesco, sarà un grande avvenimento e coinvolgerà tutti quanti, credenti e professanti la fede, miscredenti e agnostici, atei normali e atei devoti. E sarà un gran bene, perché la famiglia è il bene primario del Paese, è l’unica cosa che possiamo avere anche quando non abbiamo niente; ed è ciò di cui non parliamo quando ce ne riempiamo la bocca, è la cosa di cui non ci occupiamo quando diciamo che ci sta a cuore. È quella che non esiste più quando ci ricordiamo delle sue tradizioni, è quella che non è mai esistita quando fantastichiamo di famiglia naturale, è quella che non sappiamo cos’è e nemmeno darle un nome mentre si sta facendo largo prendendo vita tra le sparse masserizie della contemporaneità. E comunque sia, la famiglia è questione cocente di tutti e di ciascuno, e se come progressista ho un rimpianto in proposito è nella desolata constatazione che non ho mai sentito indire un sinodo sulla famiglia dal Partito Democratico o da qualsivoglia altra formazione intenta al progresso, l’avessero chiamato pure più modestamente Congresso Straordinario. Ma lasciamo perdere.
Ora io so che molti cattolici in molti diversi contesti si stanno preparando al Sinodo con discussioni e confronti e riflessioni e voglio approfittare di questa occasione unica per porre loro una domanda, una domanda vera non retorica, su una delle questioni che più li occupa e li preoccupa. Io non sono cattolico, mi piacerebbe potermi dire cristiano, un sincero seguace del Gesù di Nazareth, ma so di non avere l’eroico coraggio di esserlo sul serio; mi vedo attorno una sterminata moltitudine di cristiani senza Cristo, preferisco non essere dei loro. Sono un lettore degli Evangeli e mi sono sentito in dovere di conoscere decentemente l’Antico Testamento perché so la verità del fatto che quella è comunque la mia storia, è da lì che vengo e lì sono contenuto nella parte essenziale del mio pensare e agire. La domanda che mi faccio da tempo senza poter rispondere e che rivolgo ai cattolici che leggono le scritture è la seguente: che intende dire Gesù in Matteo 19,6?
Alcuni farisei, i custodi ortodossi della Legge, lo interrogano su una delle loro molte questioni cruciali, ovvero se è lecito in ogni caso che l’uomo ripudi la propria moglie. E Gesù risponde nel modo che tutti conoscono, ovvero che Iddio ha creato l’uomo e la donna perché fossero una carne sola e dunque, salvo nel caso di concubinato, “Quello che Dio ha congiunto, l’uomo non lo separi”. La discussione prosegue, i discepoli sono scontenti, “Se questa è la condizione dell’uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi”, e Gesù taglia corto, “Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso”.
La dottrina cattolica sull’indissolubilità del matrimonio ha qui il suo saldo pilastro. Ma io chiedo ancora: cosa e chi Dio unisce e l’uomo non può separare? Forse il matrimonio? Il matrimonio che i farisei conoscevano e praticavano era, secondo gli usi e le leggi ebraiche, un contratto in base al quale la donna è trasferita dalla potestà del padre a quella del marito, il padre «dà» e il marito «prende», con facoltà di entrambi di recedere. La donna è un oggetto e un valore, un debito e una risorsa. I matrimoni sono di regola combinati, lo stesso Gesù è nato in un matrimonio combinato tra i genitori di una bambina e la famiglia di un anziano straniero che Maria conoscerà solo a tempo debito. Questo è quello che unisce Dio? Il Dio di amore si appropria di un atto notarile di cessione di proprietà? Fa sua e fa sacra un’unione senza amore e senza giustizia? È mai possibile che il Cristo intendesse una cosa del genere? Ve lo chiedo. Gesù cita i sacri testi e dice che Iddio creò l’uomo e la donna perché si unissero e fossero una carne sola. Farsi una carne sola, è forse il miracolo che può compiersi in un atto di cessione di potestà, ancorché vidimata dall’autorità spirituale di un rabbino? Farsi una carne sola, è il miracolo che noi attribuiamo, quando ci sentiamo di farlo, alla straordinaria e misteriosa forza dell’amore. Nel matrimonio dei farisei l’amore è una eventualità che la loro legge non prende nemmeno in considerazione. Dunque parlava di amore il Cristo quando pensava a ciò che Iddio univa e che la durezza del cuore degli uomini li tenta a dividere? Pensava a qualcosa che non tutti possono capire, ma solo coloro a cui è stato concesso. Se di amore parlava, allora questo lo sappiamo anche noi, a non tutti è concesso capire. Purtroppo. L’amore può fare di due esseri l’ineffabile miracolo di un’unica carne, e chi ha la grazia della fede non ha dubbi che sia un’unione voluta e benedetta da Iddio. Naturalmente anche se i due esseri che si amano sono due maschi o due femmine può compiersi il miracolo, perché mai Iddio non dovrebbe averlo voluto e benedirlo? Ve lo chiedo, perché mai? Perché quell’amore sarebbe contro la sua volontà? Esiste forse il compiersi di un amore contro la volontà di Iddio?
Io non so rispondere e forse non so neanche capire, e chiedo.
Il Secolo XIX, 4 ottobre 2015