Primo Maggio
Primo Maggio. Sento dire che è la festa del Lavoro. Errore, il Primo Maggio è nato Festa dei Lavoratori. Il lavoro è un’astrazione, i lavoratori sono uomini, sono vite. Noto che la parola stessa lavoratore è usata con estrema cautela quando si parla di lavoro, a lavoratore si preferiscono altre parole, collaboratore, addetto, dipendente; sembra che lavoratore suoni inadatto, troppo schierato con il ‘900, forse anche troppo politico, sovietico. Così che se la Festa del Lavoro suona con un tono placidamente evocativo, pacificamente condiviso tra chi il lavoro lo da e chi lo prende, chi ce l’ha e chi non ce l’ha, una festa dei lavoratori suonerebbe un po’ come una rievocazione nostalgica, una scena in costume, sconvenientemente ideologica e non priva di una antica e non sopita aggressività del tutto fuori luogo. Peccato, perché se di lavoro ce n’è poco e niente, di lavoratori gratta gratta ce n’è ancora un po’, e tutto sommato si meriterebbero la loro festa, come se la sono meritata i loro antenati, i lavoratori del ‘900. A quel tempo nel giorno del Primo Maggio sfilavano nelle città d’Italia pieni di orgoglio e signorilità; erano i costruttori, gli edificatori della Nazione, dai bordi delle strade il pop0lo li applaudiva, giovani donne gettavano loro garofani rossi. Avevano persino dei giornali tutti per loro, i giornali dei lavoratori, da non credere. Oggi una loro rappresentanza, fatta di carne, fatta di vite, sfilerà per le strade di Genova; sarebbe davvero bello se lo facessero ancora una volta orgogliosi e festosi, fieri della loro coscienza di edificatori, sarebbe bello che ci fosse un popolo ad applaudirli e ragazze a lanciare loro garofani. E sarebbe giusto se tutti quanti noi ci ricordassimo proprio oggi che i media ci hanno angustiati fino al terrore per i 600 omicidi compiuti nel corso dell’anno, mai così pochi nell’ultimo secolo, e hanno evitato di metterci ansia per i 1200 lavoratori morti per il loro lavoro.
Il Secolo XIX, 1 maggio 2016