Perché sono nato? L’ho chiesto, sul serio, una volta a mio padre, e ero già un uomo fatto. Come perché? è stata la sua incredula risposta. Non c’era un perché, non era necessario. Così l’ho chiesto a mia madre, e la sua risposta, unico caso che mi ricordi, è stata identica a quello di mio padre, come perché? con l’aggiunta di uno sguardo di struggente maternità. Sono nato in una casa che portava ancora i segni della furibonda lotta sulla Linea Gotica, in una stanza arredata con mobilio acquistato con le cambiali, la cucina era in comune con il resto della grande famiglia allargata di mia madre, il cesso era laggiù nell’orto. So che ero molto atteso, il primo nato in quella casa dopo la guerra, dopo gli uccisi, ero figlio della miseria, ero figlio della speranza. E sì, sono nato senza un perché, era solo qualcosa di buono da succedere, ma sono anche nato perché mio padre e mia madre, tutta la vasta famiglia in verità, erano sicuri che avrebbero trovato il modo di nutrirmi, di curarmi e di istruirmi, di darmi quello che a loro era stato negato. Sono stato cresciuto senza tanti discorsi, ma uno non mi è stato mai risparmiato, in dialetto, nen te patirè mai quer che avan paitto noiautri. E così è successo, mio padre e mia madre hanno lavorato tutta la vita fino a consumarsi, ma hanno lasciato un figlio che non ha sofferto nulla di quello che loro hanno patito, partito molto in basso nella graduatoria sociale, ma asceso, gradino per gradino, fin dove neppure nei loro candidi sogni avevano mai neppure saputo immaginare. Non è stato un miracolo, è stata la loro fidente, caparbia generosità e la Repubblica, questo paese nella breve stagione dell’apertura, dell’inclusione, della concomitante crescita economica, politica, morale. Per questa ragione non credo agli entusiasmi degli Stati Generali della Natalità e alle meraviglie dell’Assegno Universale. A tal proposito il regime fascista dedicò alla crescita demografica una quantità di risorse legislative ed economiche assai superiori a quelle prospettate, per non parlare delle ossessive campagne “culturali” per fare delle donne delle “superbe fattrici”, eppure fallì, se “il numero è forza”, i numeri non furono quelli sperati. Non bastano i discorsi e non bastano nemmeno i soldi, le leggi sono alito nel vento se non puoi dire a tuo figlio, nen te patirè mai quer che avan paitto noiautri, ma piuttosto, non godrai niente di quello che abbiamo goduto noi. Dov’è il clima, la cultura, la politica di inclusione, dove è stata nascosta la scala che mi ha permesso di salire fin qua, dove ci si può affacciare per godere del panorama di un futuro migliore per quelli che metteremmo al mondo? Chi coltiva e premia, chi educa alla generosità inter generazionale, che è mandato di una legge morale che non ha posto nella società che incita all’immorale “prima di tutti io”? Come poter ancora pensare che fare figli è prima di tutto una cosa buona da succedere e poi un perché, se il sistema si regge sull’ossessione del consumo, e consumare si oppone al creare, e al procreare.