Natale
E anche ‘stavolta se Iddio vorrà verrà Natale. Sempre che non succeda qualcosa prima. Mai vista tanta ressa intorno ai preparativi, sono volati come schiaffoni canti e statuine, interi presepi, benedizioni e decreti ingiuntivi. Ho letto l’altro ieri di un prete malvagio che ha negato l’esistenza di Babbo Natale e di Santa Claus, ma non poteva almeno tenerselo per sé? È nato un comitato per levarlo di torno. Di comitati ce n’è in ogni paesello, borgata e delegazione, contro questo e quello, pur che c’entri il Natale. Natale di guerra, corpi volontari per la vigilanza antiaerea e presidi scolastici per la difesa della razza. Per evitare il peggio in un paese del bresciano, non per niente Brescia è la Leonessa d’Italia, il sindaco ha fatto appendere sulla strada, al solito posto del cartello Benvenuti, l’avviso che il suo è un paese di ferma ortodossia occidentale e radicate tradizioni cristiane, incerti e piantagrane astenersi e girare alla larga. C’è per l’aria sentore di millenarismo, più che l’avvento del Redentore pare che ci si aspetti quello dell’Anticristo. Forse è già tra noi, che sia il papa in persona? Mi hanno suonato alla porta due ragazzi, un maschio e una femmina sui vent’anni, dichiarando di avere una risposta alla domanda “si può essere felici nella vita?”. A rigor di logica avrei dovuto chiamare il 112 e avvisare di una tentata rapina, invece ho rischiato di brutto e li ho fatti entrare. Così ho scoperto che in verità non avevano nessuna buona risposta all’angosciante domanda che ci mina da secoli le nostre solide fondamenta cristiane, e che le loro parole e loro stessi erano sotto sotto velati di mestizia e dubitative esitazioni. Pare che non ci sia di risposta a niente. Messi alle strette, persino i militanti delle Sante Radici litigano sul fatto che sia più opportuno far cantare Adeste fideles piuttosto di Tu scendi dalle stelle. Disatteso, se non osteggiato, il tradizionale invito alla rappacificazione natalizia del famoso pandoro, è Natale, sicuro che è Natale, ma non si può dare di più un bel niente. Credo di averlo già detto, in questo clima bellico mi è venuta la tentazione di prendere il mio, bellissimo evo dirlo, presepio e buttarlo tutto quanto giù dalla finestra. Sono tre scatoloni, a non stare attenti c’è da far male a qualcuno. E così, visto che poi non è che non possa non dirmi presepiale, anche quest’anno mi sono messo lì a trafficare. Patetico, lo so. Patetico passare mezza giornata a cercare l’erbino nuovo che non sia troppo fradicio, patetico passarne un’altra mezza a trovare dei sassi lisci ma non troppo tondi e che stessero bene in piedi per fare la gora del mulino, più che patetico cercare di ingessare la zampa del cane pastore che se la deve essere mangiata la gatta e poi provare a darci il colore suo. E tutto il resto. Che poi quest’anno m’è venuta l’idea idiota, perfettamente aderente al forte impulso eversivo del momento, di fare delle montagne tipo vulcano di Krakatoa più Vesuvio e Etna. Ci son stato dietro tre giorni buoni a trovare il modo di farli fumare senza incendiare tutto quanto. Alla fine mi sono risolto con delle candele da cena della vigilia con lo stoppino un po’ umido, però per rendere bene gli zampilli avrei dovuto davvero dare fuoco a tutto. L’effetto è di una natività nella tregenda, alla fine niente male devo dire. Senonché devo avere sbagliato i conti, o mi è presa una smania di grandezza del tutto fuori luogo, sta di fatto che alla fine, anche con gli effetti speciali e tre pecorelle, una fornaia e un pollaio nuovi, il paesaggio risulta un po’ vuoto. Troppi spazi deserti, senso di smarrimento, come di povertà degli intenti. È un guaio perché il presepio deve essere pieno, affollato, si deve vedere che tutto l’universo è lì in marcia verso il Redentore. Mah, ci siamo consultati in famiglia. L’unico che ha avuto un’idea è stato mio nipote il più piccolo, che ha proposto un drappello di miliziani dell’IS appostato tra i vulcani pronto ad assaltare la capanna del Bambinello. Si vede che a scuola ne hanno parlato. Gli ho fatto presente che non ci sono in commercio statuine dell’IS, ma mi ha dato un’idea. Non che riempia i vuoti, ma ora la statuina di gesso di mirabile fattura comprata qualche epoca fa al mercatino dei cuccioli di Mosca, la guardia rossa della rivoluzione russa, veglia sulla capanna dall’alto dell’Etna, a vigile sostegno delle profonde radici bolsceviche della Sacra Famiglia. E che facciano un comitato per venirmela a togliere.
Il Secolo XIX, 20 dicembre 2015