Il vuoto e le parole

Ci ho pensato e ripensato per tutta la mattina fino a pranzo, un pranzo indigesto buttato giù tra mille elucubrazioni, per cercare di capire quale sarebbe stato il momento migliore per chiamare Silvia. Non ci sarebbero stati momenti buoni, era ovvio, ma potevo sforzarmi di trovarne uno meno duro, un momento che potesse assomigliare a una pausa, a un piccolo, riparato porto franco nella tempesta tremenda. Così l’ho chiamata alle cinque, perché verso quell’ora sarebbe stata davanti alla scuola materna ad aspettare la bambina. Oppure Silvia sarebbe appena arrivata a casa con lei. I bambini sono l’ultimo riparo, l’invalicabile bastione a difesa del cuore. Ciao Silvia, come stai? Già, perché forse non lo so come sta? Come mai non c’è mai a disposizione una domanda giusta quando bisognerebbe poter fare solo domande giuste? Silvia vive da dieci anni a Madrid, lavora in una casa editrice, ha una figlia di cinque anni. No, naturalmente neppure quell’ora era il momento giusto. Ha detto delle cose, nel suo modo severo e asciutto di vedere la vita e descriverla, e poi ha pianto. Perché piangere era alla fine l’unica cosa che aveva senso, fosse stata o no lì la bambina a vedere e sentire, fossero per strada o già a casa davanti alla televisione con i cartoni animati o alla radio Canal Cinque News. Sbagliata la domanda, sbagliato il momento chissà per quanti giorni ancora. Ma ricordo bene cosa ha detto Silvia prima di mettersi a piangere, e quello che in quel momento pensava lei è quello che penso io ora. Che chi ha forza, titoli e lacrime per piangere, pianga, gli altri evitino, per rispetto, per coscienza, per dignità, di fare domande idiote, di dare lezioni stupide, e più che mai di riempire il cielo delle lacrime con la crema melmosa della retorica. La retorica mortifica la verità e le sue tragedie da troppo tempo. E invece sembra che non ci sia niente da fare, che tutto quello che ci si possa aspettare in tutti questi “day after”, dal giorno dopo l’11 settembre 2001, è vacuità e retorica. Per non pagare dazio, suppongo, che la tassa è esageratamente alta. Come Silvia, anch’io ho smesso di leggere, vedere e sentire, per proteggermi, per predispormi a ragionare. Come Silvia, anch’io provo pena, e anche un po’ schifo, o tutte e due le cose assieme, se solo mi scivola l’orecchio su ciò che si dice oggi di Madrid. Qui, come altrove nel mondo, come anche a Madrid. SÌ, certo, siamo tutti madrileni, come siamo stati tutto newyorkesi, come siamo stati berlinesi all’origine; e certissimamente non ci sottrarremo dall’essere, all’occorrenza, tutti parigini e londinesi e chissà chi altri. Anche se, è bene dirlo, non ce la siamo sentita di essere tutti turchi quando è saltata in aria Istambul solo qualche mese fa e nemmeno – questo sarebbe stato veramente troppo – non mi risulta che fossimo tutti sciiti quando ne sono saltati in aria duecento il mese scorso. E adesso che siamo tutti cittadini della medesima città, cosa facciamo? Andiamo tutti a nasconderci nello stesso rifugio? O vogliamo usare questa semplice, nitida scoperta di comunanza per fare qualcosa di grandioso riguardo a un futuro un po’ meno tetro, un po’ più promettente. Un futuro dove saremo tutti madrileni perché potremo tutti godere della bellezza di Madrid. Bene, ecco che dicono, come hanno sempre detto: sconfiggeremo il terrorismo. Come no, ma come? Come vi siete organizzati fino a ora, che idee avete maturato, con quali risultati e quali prospettive? È ragionevole pensare con il presidente Bush che la guerra al terrorismo sarà infinita ed eterna? E che dunque non sarà mai sconfitto? Questo è quello a cui dobbiamo prepararci, a passare il resto della storia nei rifugi? Al momento a rimandare fino all’arresto di ieri sera la credibilità di Al Qaida, perché la vita continua e in Spagna si vota, e il governo non vuole farsi soffiare via una vittoria già certa solo perchéè costretto ad ammettere che non è stata l’Eta a massacrare i suoi cittadini. E la cosa che più fa pena, e anche un po’ schifo è la povertà sconcertante della retorica, costruita su quelle cinque-sei frasi, trite e ritrite, prese qua e là nei prontuari con le frasi famose dei grandi uomini. Non ci faremo intimidire, continueremo per la nostra strada di giustizia e libertà. Ci mancherebbe altro. Ma quale strada? Fatemela vedere su una carta. E per dove? Tracciatemi l’itinerario, che io possa ragionarci su. Per non parlare delle teorie. Questi teorici che ne sfornano una apposta per i nuovi sconcertanti avvenimenti nell’ora che intercorre tra la convocazione e l’apparizione al talk show della prima serata. Ora è in voga l’alleanza tra Eta e Al Qaida. Avete uno straccio di prova, avete parlato con Dio, o che? E intanto Silvia è con la sua bambina a Madrid e mi ha mandato un messaggio di due parole: intoxicacion informativa. Avvelenamento delle informazioni. Che farà altri morti.

Tratto da Il Secolo XIX, 14 marzo 2004