Maurizio Maggiani: Voglio una città pulita fuori che sia bella anche nell’anima

Genova è bella! Dio sa se è bella, e certe di queste sere d’estate, è bella da toglierti il fiato. Ti siedi su una vecchia panchina di ghisa a Sant’Anna mentre l’ultimo sole si spalma sulla facciata della chiesa tutto intriso dello smeraldino che ha raccolto tra le chiome degli alberi, ascolti il trillio delle rondini, estenuante come il basso continuo di un vecchio concerto barocco, lo mescoli al sincopato dei rumori di pentole e umani di là dalle finestre aperte al refolo vespertino, e lo capisci come è bella Genova. E lo capisci all’alba fumando il tuo primo toscano andando su e giù per le mura di Malapaga in attesa di vedere la calma di mare tagliata in due dal primo traghetto del mattino. E lo capisci in un sacco di altri posti in tutte le ore del giorno e della notte.
Lo capisci in questi giorni anche semplicemente guardando i muri nudi e crudi dove uno splendido viso di donna genovese al mille per cento – tristemente afflitta da una emiparesi facciale, laddove l’attacchino ha fatto male il suo lavoro di collage – ti ricorda che Genova è per l’appunto bella e lo sarebbe addirittura di più. Quand’anche fosse più pulita. E’ vero, eccome!
Tanto per dire, quanto sarebbe più bella la bellissima salita di Chiappe nettata delle 48 merde di cane che ho contato appena ieri mattina, così, tanto per passare il tempo salendo al Righi? Naturalmente sarebbe una beltà di bagliore intollerabile. E questo è un concetto semplice, chiaro, univoco, sempre che sia semplice e chiaro agli abbienti borghesi della zona provvedere a ficcarsi nelle loro decorose tasche le eiezioni degli amati yorkshire, pitbull e san bernardi. Ma bellezza e pulizia sono concetti complessi, addirittura opinabili.
Fare Genova più bella non è solo questione di nettezza urbana. Voglio spiegarmi raccontandovi dell’altra sera in centro, nel cuore della bellezza di Genova. In una bella piazza da tempo si esibiscono, con il decoro che viene da una lunga e onesta professione nei locali del bel tempo andato, due tzigani; suonano quella che a me sembra buona musica, e nel farlo rallegrano e danno colore intorno. La gente che passa lascia una moneta, a volte, come accade anche a me, si ferma un po’ ad ascoltare vecchi motivi. L’altra sera il proprietario di un caffè adiacente, di quello che a me sembra un brutto caffè, lo ha fatti malamente sloggiare adducendo il disturbo della quiete dei suoi clienti. Ho dato un’occhiata al caffè e dentro c’erano tre giovanotti concentrati alle macchinette del videopoker. Un brutto gioco, anche sporco forse, secondo me, che richiede certamente calma e concentrazione, richiede un certo tipo di pulizia. Il proprietario del caffè è senz’altro d’accordo che Genova pulita sarà ancora più bella. Genova ripulita, ad esempio, dai suonatori ambulanti. Io non la penso così.
U ciò meditando, me ne sono andato a prendere l’aperitivo in un caffè all’aperto, un piacevole locale in una bellissima e tormentata via poco distante. Il tormento di quella bella via è la sporcizia. Non primariamente merde di cane, quanto spaccio notturno di droghe, una certa qual aria violenta ad esse collegata, e l’occupazione di cospicuo spazio pubblico ad opera dei famosi punkabestia, quei gruppi di ragazzi desiderosi di esplicitare nell’estetica di se stessi e dello spazio intorno a loro il disprezzo per questa società sporca nell’anima. Mentre personalmente trovo di una sporcizia intollerabile tutto ciò che ha a che fare con droga e violenza, ho un atteggiamento più tollerante verso questi ragazzi, e ragazze, che vedo spesso rassettarsi mentre si ficcano nell’ascensore di Castelletto tornando afflitti dalle loro apprensive mamme. Basta aspettare un po’, penso, e ce li ritroveremo profumati come giaggiuoli a gestire qualche impresa di famiglia o bottega artigiana. Magari bisognerebbe trovare con loro un accordo circa proprietà e agibilità del suolo pubblico, un accordo inerente la libertà dei piedi oltre che dell’anima. Comunque sia ho passato una piacevolissima ora aperitiva in questo locale di buon gusto, conscio che il solo averlo avviato è stato un coraggioso atto di pulizia e bellezza. Per tutto il tempo ho avuto alle mie spalle un signore, appoggiato alla colonna di un portone, discreto come un’ombra, elegantemente vestito. In quell’ora si è spostato solo un paio di volte. Lo ha fatto per redarguire, discretamente, sommessamente, dei ragazzini che giocavano con un pallone pericolosamente a portata di tiro della spettabile clientela. Oddio, ho finalmente capito, il signore è il buttafuori del locale. Locale distinto, clientela distinta, buttafuori distinto.
La verità mi ha messo a disagio: troppa pulizia, un genere di pulizia che mi rende inquieto. La bella ragazza lievemente affetta da paresi appiccicata ai muri, io stesso, vogliamo vivere in una città pulita o ripulita? Ripulita da cosa, e da chi? Vogliamo una città senza cacche di cane e senza droga o una città dove chi, avendo i mezzi per farlo, se la può spassare senza essere scocciato da musicisti di strada, bambini giocherelloni, ragazzi dipinti di blu? Pulire il centro storico vuol forse dire trasformarlo in centro di civici svaghi per danarosi turisti e e residenti? O forse renderlo ancora più vivo e accogliente. Accogliente per tutti, per chi ci vive, ora, e chi ci viene a goderselo. Pulire la città spetta all’azienda addetta e ai cittadini. Che non sono le compagnie immobiliari e le associazioni dei commercianti. Non solo.

Tratto da: Il Secolo XIX, 10 giugno 2003