Maurizio Maggiani: Voglio la mela negata a mia madre
Voglio la mela. È di mia madre, è sua, la voglio. Sono disposto a venirmela a prendere, sono disposto a prendermela con la forza. E già che ci siamo voglio anche la pomata, la pomata per gli occhi. È sua anche quella, tiratela fuori. O verrò a prendermela io; con le cattive, visto che le buone maniere non sono del vostro mondo. E’ roba da poco, è roba da niente. Quanto vi costerà una delle vostre mele raggrinzite? Dieci centesimi, venti? E la pomata per gli occhi? Cinque euro, dieci euro? E le avete portate via a mia madre, che ha ottantadue anni e sulla sua mela aveva fatto tanti sogni e sulla pomata così tanto affidamento.
Adesso racconto tutto.
Abbiamo portato mia madre all’ospedale, ce l’abbiamo portata con l’ambulanza, stava male, molto male. Forte com’è è sopravvissuta alla coda del Pronto Soccorso, in fila dietro i poveri disgraziati mal parati come lei e la moltitudine degli spaventati e degli abbandonati che affollano le astanterie perché i loro medici di famiglia hanno perso l’arte di andarli a visitare a casa e la scienza di operare quel paio di centinaia di piccoli interventi che sono materia d’esame dal secondo anno di medicina in poi.
Dunque ce l’ha fatta ad arrivare in reparto ancora in tempo per essere “tirata via per i capelli”. L’hanno salvata i medici di chirurgia, e l’hanno curata e addirittura vezzeggiata e sbaciucchiata, devo dire; trattata come una principessa, l’indomita vecchia signora ce l’ha fatta. Capisco come un chirurgo possa sentirsi orgoglioso del lavoro fatto, anche se è il milionesimo successo, anche se salvare la vita a un’ottantenne è routine che non verrà premiata da niente e da nessuno che non sia il proprio budget etico.
È stata dura per la vecchia signora guarire, ma un bel giorno, il tredicesimo giorno, il primario ha finalmente decretato: stasera si mangia, per la signora Maria una bella mela questa sera. Con tanto di nota e firma.
Immaginatevi cosa è stato il pensiero di quella mela per la signora Maria quell’interminabile tredicesimo giorno, dopo un digiuno che doveva sembrarle una condanna alla non vita. Immaginatevi come se l’è dipinta quella mela, e quante volte se l’è pappata con la fantasia. E la sera, all’ora del passaggio del carrelloquando il cigolante arcaico trabiccolo della sussistenza si ferma al suo capezzaleNon ci sono più mele per la signora Maria. Non ci sono abbastanza mele in dispensa per accontentare tutti i famelici degenti della Usl numero 5 che vanno pazzi per quelle schifose mele grinzose e scipite. Non so se mia madre ha pianto, io l’avrei fatto, non so se ha imprecato, io avrei ululato le peggio cose. So che ha arrancato a elemosinare la sua mela fin dove ha potuto con le sue poverissime forze. Per niente. Il digiuno della signora Maria è durato un giorno di più.
Mia madre è costata alla comunità per il periodo del suo ricovero credo diverse migliaia di euro. Mia madre è stata curata ed accudita con ogni attenzione. Una mela non è niente. Ma proprio perché non è niente trovo che sia imperdonabile che le sia stata sottratta. Il mondo dove lei ha diritto di vivere, il sistema dove lei ha diritto di essere assistita – lei e chiunque altro, me compreso – non può dimenticarsi della mela, della povera cena della vecchia signora, e non può essere giustificato solo perché la lascia in vita o la vita gliela salva. Curare è prendersi cura. E non ci si prende cura sbadatamente, ma avendo e prestando attenzione. Questa è la differenza tra la pubblica carità dei lazzaretti e un sistema assistenziale pagato con il sudore dei contribuenti.
Dimenticarsi di una mela non è ammissibile, non averla in dispensa altrettanto. In un sistema civile – e ce ne sono, incredibile che possa sembrare nel mondo ce ne sono – il direttore generale, avvisato dalla grave carenza, sarebbe andato lui a comprarla e l’avrebbe consegnata alla signora con mille scuse per il ritardo.
Ah, la pomata. Sì, visitata su richiesta del chirurgo per un problema all’occhio, alla vecchia signora l’oculista dell’ospedale ha prescritto una pomata. Sono passati ormai dieci giorni e la pomata non è ancora arrivata dal reparto oculistica alla chirurgia. In verità è un percorso di quasi due chilometri. Forse quella pomata non esiste, di certo non è un farmaco che le salvi la vita. Non è indispensabile avere l’occhio in buono stato quando devi ringraziare Iddio che hai salvato la pelle. In effetti ciò che conta è essere vivi. Peccato che abbiamo lavorato un paio di secoli per illuderci di aver costruito una società un pochettino più sofisticata di quella così ben narrata da Victor Hugo, Charles Dickens, Giovanni Verga.
Tratto da “Il Secolo XIX”, 22 maggio 2005