Maurizio Maggiani: Vivere senza clandestini coi soldi dei tagli fiscali
La Spezia, via del Prione, venerdì sera. Cammino lungo la strada dello struscio cittadino, dei negozi in franchising e dei caffè. È stata una giornata di ferie piuttosto faticosa. Ho portato il nipote Richi al mare. In piedi sulla tradotta per le Cinque Terre pigiati tra i sudori di mamme affannate dietro ai pianti di bimbi ingombri di secchielli, palette e palloni. In coda per la sdraio e l’ombrellone, in coda per uno schizzo di acqua dolce dopo il bagnetto nell’acqua marina in teoria più linda d’Italia, in pratica piuttosto schiumosa e “lepegosa”. In coda per il cono gelato, metà del gelato sulla maglietta, metà ben spalmato sul muso di Richi. Dov’è il pacchetto del Kleenex? In coda per la tradotta del ritorno sotto il sole stupendo della Riviera alle 5 del pomeriggio. Dove è finito il berrettino?
Un capotreno sul border line del collasso per disidratazione spinge in carrozza greggi smarrite e ansimanti di anziani turisti.
Passeggio ora per la via del relax cittadino e guardo transitare la gente di questa città. E mi accorgo che è stato un giorno faticoso per molti. Ciabattare di tacchetti di giovani donne dubbiose dei propri stessi passi, strusciare di Nike di ragazzotti al mesto inseguimento delle zoppicanti sopraddette. Sguardi curvi e vacui, a tratti torvi, sulle vetrine che espongono rimanenze equivoche ma che appaiono, data la ben nota crisi cittadina e mondiale, pur sempre irraggiungibili.
Vedo intorno a me vite affaticate, sudate, intristite, annoiate. E poi vedo una bella persona, la prima bella persona di questa giornata, e l’ultima, se è per questo. È una donna. È alta, eretta e snella, un viso severo di severità radiosa. Cammina spedita e flessuosa, elegante e noncurante. È nera come un tizzone, indossa una lunga veste del batik che portano le malinesi, con un disegno di pesciolini color indaco, un motivo quasi astratto, raffinatissimo. Avrà cinquanta anni, i capelli appena brizzolati; o forse trenta, chi può dirlo di quella gente? Porta sul capo con leggera naturalezza un grande paniere di vimini colmo di cose. La vedo incedere verso di me, sfilarmi di lato e dileguarsi.
Dove sta andando? Cosa porta nel suo paniere? A casa con la cena dei figli, dei fratelli e del marito? A consegnare marijuana al mercato dei giardinetti? A vendere orologi a cucù made in China con la faccetta di Bin Laden che sbuca fuori a ogni ora a cantare vittoria? E chi lo sa. So che è l’unica bella persona che oggi ho incontrato. Avrà faticato, non stento a crederlo, avrà sudato e avuto sete e forse fame, ma con il suo drappo da cinque euro, con la sua paniera, il suo sguardo diritto e le sue ciabatte di plastica, è una regina. La vita non l’ha schiantata, è lei che prova a schiantare il suo destino.
Ci sono milioni di regine come lei che premono alle nostre vacue frontiere. E milioni di principi e re. Tutti quelli che non sono ancora morti di fame, di sete e di malattie. Non li fermeremo con le brutte: ci sono troppo pochi cannoni per farlo. Troppi pochi poliziotti e navi costiere e persino troppo poca carta per le ingiunzioni di espulsione. Sono troppi. Loro vogliono vivere, lo vogliono con una forza disperata, al pari di qualunque essere vivente. Sono qui per pretendere un risarcimento. Sono due secoli che siamo il loro destino. Non distinguono l’Italia da un altro Paese; al pari dei giovani americani non hanno avuto chi gli insegnasse abbastanza geografia. Quello che sanno è che siamo indistintamente noi ad essere ricchi, ad esserlo anche grazie a quello che gli abbiamo rubato e continuiamo a rubare. Siamo noi, le nostre imprese, le nostre ambasciate, a eleggere i loro governi di ladri e assassini, e a sostenere i controgoverni fatti di altri ladri e altri assassini. Gli unici uomini adatti a firmare contratti a noi vantaggiosi.
Ci sono voluti due milioni di morti di guerra civile nella Repubblica democratica del Congo perché la mafia ucraina potesse vendere a buon prezzo alle imprese americane e taiwanesi il prezioso minerale che è il cuore dei microchip con cui fa i suoi calcoli il computer che mi serve per scrivere questo articolo.
Non ci saranno mai abbastanza cannoni per tenerli alla larga. Arriveranno a nuoto, su sommergibili di legno, su aerei di carta. Allora faccio la mia modesta proposta. Mi rivolgo ai miei concittadini e chiedo loro di diventare finalmente quello che andiamo cianciando di essere da un bel pezzo: santi e eroi. Attenzione, possiamo farci santi decidendo di lasciar perdere i cannoni e spartire casa nostra con loro, eroicamente rinunciando ad alcune preziose conquiste circa il quieto vivere, secondo il dettame della fede cristiana. Oppure, possiamo scegliere la via laica alla santità, dove la rinuncia è laidamente meno dolorosa, più tollerabile e alla lunga assai più appagante. Eccola.
È certo ormai che nel prossimo anno avremo un allentamento della morsa fiscale e nel prossimo ancora una definitiva, congrua riduzione. Rinunciamoci. Chiediamo che il governo accantoni l’ingente somma dello sgravio in un fondo destinato alla rinascita – piano Marshall, se preferite – di alcuni Paesi africani che decidiamo di adottare. Quelli più vicini a noi, magari, quelli che ci fanno più paura, se preferite. Si faccia un piano pluriennale. Si intervenga in quei Paesi armi in pugno, come ormai sappiamo di saper fare, per cacciare i tiranni ed imporre elezioni democratiche. Si crei una polizia mista per debellare la corruzione, cacciare i malfattori e gli sfruttatori stranieri e indigeni. Si impieghino i nostri migliori ricercatori, oggi disoccupati o emigrati, per predisporre con quelli del posto piani di sviluppo agricolo rispettosi di territorio e umani. Piani di sviluppo industriale adatti a produrre ricchezza equamente distribuita localmente e globalmente. Piani educativi, urbanistici e sanitari. Con date di scadenza.
È possibile tutto questo? Perché no? Dove è il problema? Non ne vedo. Tranne sapere se i miei concittadini ricconi sapranno rinunciare a tre o quattro mila euro all’anno e i poveracci a due o tre. Ci state? Pensate se qualche altro Paese volesse imitarci per non schiattare di invidia. Pensate che avremmo persino l’avvallo dell’Onu. E in quattro e quattro otto. Saremo santi, saremo eroi, smetteremo di avere paura.
Tratto da “Il Secolo XIX”, 15 agosto 2004