Maurizio Maggiani: Un’idea di politica
Credo che sia successo qualcosa di importante in Puglia quando ottantamila elettori simpatizzanti della sinistra si sono messi di buona voglia a scovare i seggi allestiti – e ben nascosti – per concedere loro la possibilità di scegliersi il candidato a presidente della Regione. Sganciando pure un euretto a testa per esercitare questo nuovo loro diritto. Non credo che elezioni primarie siano la forma perfetta della democrazia – se mai la democrazia potrà essere perfetta – ma sono una forma, sono un modo. E il risultato è sorprendente solo se abbiamo scarsa familiarità con la gente che sente il bisogno di dire la sua in fatto di rappresentanza democratica.
Vai a vedere te che dopo l’avvenimento sorprendente possa capitare anche quello inverosimile?
E se la Puglia scegliesse di eleggere a presiederla un gay, come già hanno deciso i cittadini di Londra e Parigi? Se Parigi avesse lu meri sarebbe ‘na piccola Beri, dicono di loro stessi i baresi. Chissà.
Ma se in Puglia è successo qualcosa di importante, io ho avuto l’onore di assistere a un vero e proprio evento storico. Giovedì, in un’osteria di Metello, frazione di centodieci abitanti nella valle di Soraggio, la valle più segreta e distante della distante Garfagnana, ho partecipato a una cena -menù: biroldo garfagnino, prosciutto bazzone, zuppa di farro e frittelle di neccio- di cui ero il sedicesimo convitato. Gli altri quindici erano abitanti della valle che vado così a presentare: una giovane coltivatrice di fiori e due giovani contadini, tre studenti universitari, tre operai delle cartiere di Lucca, un manager di multinazionale, due impiegati della comunità montana, una maestra, due pastori. Gente che ha deciso di vivere nella propria valle, anche se deve, come l’altra sera, farsi largo tra la neve a palate per andare a cenare; anche a costo di pagare un sacco di soldi di collegamento internet per stare appresso al mondo. I quindici abitano le tre frazioni della valle, che complessivamente fa 570 abitanti; alla cena partecipavano quattro valligiani su cento. La cena dei quindici è periodica; si incontrano per discutere di politica applicata alla loro valle, alla loro vita, ai loro bisogni. Hanno tutti votato per i partiti di centro sinistra, ma nessuno di quei partiti si è dimostrato all’altezza delle loro aspettative. Vorrebbero fare e non lasciar fare, come gli viene richiesto. Vorrebbero che i loro rappresentanti, semplicemente, li rappresentassero. E siccome questo non accade, si arrangiano da soli. Infatti a cena hanno discusso, proposto, deciso; si sono divisi su alcuni argomenti e riuniti su altri. Hanno preso iniziative a suo tempo, le stanno portando avanti. Fanno cose concrete per se stessi e per gli altri. Sono una potenza enorme. Fare un po’ di conti: se ciò accadesse a Genova, ad esempio, ci sarebbero a cena 2800 persone, a Roma 16000, il 4% della popolazione, appunto. Non c’è partito, lobby, potere forte in grado di mobilitare tante persone, e quelli di Soraggio si sono auto mobilitati. Secondo me quei quindici cambieranno la storia, quella della loro valle. Non hanno altre ambizioni.
A Soraggio come in Puglia, e chissà in quali altre parti del Paese, stanno accadendo cose che hanno a che fare con il bisogno di democrazia, di rappresentanza, di partecipazione. In un Paese che troppo in fretta si è pensato, si è voluto pensare, abitato da plebi asserenti -da scolari dodicenni nemmeno troppo profittevoli, come ha definito i suoi elettori il nostro primo ministro- c’è chi va in cerca di ogni minimo varco nella fortezza del potere politico per assumersi una qualche responsabilità di cittadinanza, per professarla e rivendicarla. Io so di gente di sinistra, ma non sono certo che debba essere solo così.
E il potere politico come accoglie e come risponde? Organizzandosi per neutralizzare ogni proditorio attacco alla sua primizia, da qualsiasi parte provenga.
La Toscana, regione di pertinenza della Garfagnana, ha approvato una legge elettorale che rende impossibile, di fatto, qualunque forma di decisione diretta dei cittadini elettori. La Liguria sta lavorando a una riforma che, qualunque sia il giudizio dell’elettorato sui candidati, ne possano essere eletti un bel mazzetto di garantiti dai partiti. Tutti d’accordo, i partiti, naturalmente. Il Paese si è espresso a suo tempo per un sistema maggioritario, ma non vuol dire. La gente, ne sono certi, ha altre preoccupazioni. Se c’è una ragione prima per cui la sinistra dovrebbe distinguersi a occhio nudo dalla destra, dovrebbe essere proprio qui: nell’idea che la democrazia è responsabilità diretta di tutti, è partecipazione di ognuno alle responsabilità. E che nessuno e per nessun motivo possa sfuggire al giudizio dei cittadini. Che la destra abbia riluttanza ad affermare i principi di cittadinanza, si può anche capire, ma la sinistra?
A chi sta parlando la sinistra in questi giorni, chi sta guardando mentre parla? Certe volte mi chiedo se non ci sia un’ombra di infastidito disprezzo in certi sguardi, in certi toni, con cui i leader, i vice leader, gli attendenti dei vice e i segretari degli attendenti, si rivolgono agli interrogativi miei e di qualche altro milione di disgraziati come me. O è quello, o è che proprio con la loro zucca non ce la fanno ad afferrare l’idea che fare politica è fare servizio alla cittadinanza e non assicurarsi il posto di lavoro più sicuro e più ricco di benefits oggi disponibile nel paese.
Tratto da “Il Secolo XIX”, 23 gennaio 2005