Maurizio Maggiani: Un lavoro rischioso

Dopo anni di fedele osservanza l’altro giorno ho sciolto il mio voto di castità e mi sono lasciato andare alla visione del programma televisivo Porta a Porta. Per pochi minuti, il tempo della sigla e poco più. Mi sono bastati: in quei pochi attimi ho visto e imparato molto. L’ospite era l’onorevole Fini, vice presidente del nostro consiglio dei ministri ed è stato presentato in un modo che voglio raccontarvi in dettaglio: so che molti lettori sono fedeli spettatori del programma, ma non so se guardano con la stessa attenzione di un novizio come il sottoscritto.
L’onorevole è seduto solitario nello studio, la faccia in ombra, mentre salgono le note struggenti del tema finale dell’omonimo film. Con movimento fluido, plastico, avvolgente, la telecamera corre raso terra attraverso lo studio fino a lambire il vice primo ministro, per poi risalire la sua Persona, quasi a contatto della sua pelle, fino al viso. Che prende luce per rivelare un’espressione ferma e pacata, severa ma accondiscendente. La telecamera è uno sguardo, lo sguardo del telespettatore si vorrebbe, più che partecipe, aderente. È un abbraccio: caldo, filiale. Chiunque abbia inventato questa sequenza introduttiva a un programma, come si dice, di approfondimento informativo, è un genio delle tecniche persuasive, un profondo conoscitore della psicologia della comunicazione.
Sono sicuro che il trattamento riservato all’onorevole Fini sia un servizio standard, e che, equanimemente, lo stesso trattamento sia riservato a ciascun politico dell’arco costituzionale gradito ospite della trasmissione. Era così ieri, in regime di sinistra, ed è così oggi; anche se a quel tempo le tecniche di ripresa non erano ancora così raffinate come nell’attuale regime di destra; che avrà molte carenze ma non certo nel settore della comunicazione televisiva e delle tecniche di persuasione. E capisco molto bene perché, nonostante le dure critiche, nonostante le evidenti zoppità servili del sistema televisivo pubblico, non c’è politico anche estremo che non solleciti, e men che mai rifiuti, un invito a Porta a Porta o altrove nel settimo cielo elettronico. Quale uomo solleticato dal potere ce la fa a negarsi a una telecamera come quella dell’altra sera? L’uomo non è di legno, e nel ramo politico nemmeno la donna.
Per straordinaria coincidenza proprio ieri sera ho ficcato nel videoregistratore un film guerresco, americano, dove a un militare che gli chiede, assai seccato, ma tu da che parte stai, un reporter risponde: io non sto con nessuno, io faccio informazione. Il film era girato prima della guerra d’Iraq, da quando, per inderogabili ragioni patriottiche, i giornalisti sul campo devono farsi mettere a letto,enbedded, dagli ufficiali addetti al patriottismo.
Cionondimeno, qualche giornalista, soprattutto americano, riesce ad andare a dormire ancora per conto suo, fa ancora informazione, non si fa rimboccare le coperte da nessuno. Così un paio di mesi or sono un quotidiano di Seattle ha potuto iniziare una dura battaglia in nome delle 87 soldatesse del suo paese violentate in Iraq, non dai terroristi, ma dai loro commilitoni, e ignorate dalla giustizia militare. Sapevate che è successo anche questo? Laggiù dove i loro, e i nostri, ragazzi stanno cercando di inoculare i principi democratici? Credo di no, credo che non sia una notizia che potesse interessare i nostri telegiornali. Che invece si sono interessati alla dolorosa vicenda delle torture, come ben sappiamo. Anche questa informazione dovuta al duro lavoro di giornalisti che non si sono fatti mettere a letto.
Credo onestamente che gli Stati Uniti debbano fare ancora un po’ di strada verso la democrazia compiuta – un paese compiutamente democratico non può permettersi di tenere corsi di tortura per i suoi militari – ma certamente è un paese dove, volendolo, si può fare libera informazione, esercitare il dovere a informare e il diritto alla conoscenza. Nonostante i suoi politici detestino l’uno e l’altro e si ingegnino di ostacolarne la pratica. Non da ora, perché il potere politico detesta essere messo in discussione, sempre e ovunque.
Anche l’informazione è un potere, il quarto diceva un vecchio film. Può essere uno strumento al servizio del potere politico, o economico, o religioso, e può essere il sommo potere che hanno i cittadini per controllare e limitare gli altri poteri. Sembra una banalità dirlo; ma lo sarebbe di certo in altri tempi, forse in altri paesi. Qui e ora no. Qui e ora i rappresentanti in parlamento dei cittadini discutono accanitamente quanto equamente tra loro sia spartito lo spazio informativo, perché è dovere del servizio pubblico darsi a tutti. Mentre, secondo me e il reporter del film dell’altra sera, non dovrebbe darsi a nessuno. Qui e ora sembra ovvio e naturale che ciò che accade in Iraq o in questo paese, possa solo dircelo la superiore scienza dei graditi ospiti,. Mentre per me e per il reporter dovrebbe dircelo l’indeflettibile onestà dello sguardo di un lavoratore dell’informazione che va a vedere come stanno le cose per tutto il vasto mondo, colmo della coscienza della sua responsabilità verso il vero, a qualunque costo. Un lavoro pieno di rischi, come è naturale che siano tutte le cose di assoluta necessità.

Tratto da “Il Secolo XIX”, 16 maggio 2004