Maurizio Maggiani: Sondaggio fra amici disgustati dal voto e dai partiti
Nella città dove ho votato ho un amico fotografo che ha lavorato parecchio nella campagna elettorale. È molto apprezzato e di modesta tariffa, e si sono rivolti a lui per i santini e quant’altro di necessità cinque candidati nelle liste di centrosinistra. Ha lavorato bene ed è stato pagato; subito, in contanti, in nero.
Il mio amico è forse andato a votare riconoscente del buon guadagno esentasse? Forse è andato a depositare nell’urna il segno del suo disgusto? No, il mio amico non è andato a votare e basta. Questo episodio di malcostume da due soldi me lo racconta persino divertito: è un’ennesima riprova, secondo lui, che votare per la sinistra non ha più senso. Adesso basta.
Ho condotto un sondaggio personale questa settimana. Ho chiesto alle tredici persone che mi sono più vicine come e se hanno votato per il sindaco della città. È un’indagine per niente significativa; le tredici persone non rappresentano un campione attendibile: sono solo persone a cui voglio bene, che stimo e mi sono simpatiche. Fanno mestieri diversi, hanno diversi redditi, diversi stili di vita, appartengono a diverse generazioni, ma sono tutte in qualche modo persone che dedicano del tempo a pensare e a porsi domande; persone che ritengono di avere una coscienza con cui mettere a confronto i propri interessi materiali. Per questa ragione potrebbero essere collocate, come me, ai margini della società. Ininfluenti. Quindi espongo i risultati della mia inchiesta come oggetto di pura curiosità.
Quattro amici miei sono di destra. Tre hanno votato e uno non ci è andato. La ragione dell’astensione è, cito: «Perché il candidato sindaco mi fa venire i brividi». La ragione dei tre è unica: «Il candidato nostro fa schifo, ma è ora di finirla con questo regime». Nella città dove votano, la sinistra governa da decenni.
Nove amici hanno idee di sinistra, nei vari e variopinti modi in cui si può esserlo. Dei nove uno solo ha votato. Cinque non ci sono andati e tre hanno deposto scheda bianca. Dei cinque uno si astiene da diverse votazioni, per quattro è la prima volta; le schede bianche sono tutte una scelta dell’ultima ora, o, addirittura, dell’ultimo minuto. Otto su nove che decidono di non voler scegliere il proprio sindaco sono tanti, e me ne sono stupito: li conosco da molto tempo, non lo avrei mai pensato. Ho chiesto le ragioni. Non ce ne sono. Non una definita, specifica ragione per ciascuno di loro. Interessante. Nessuno mi ha detto: perché il candidato mi fa schifo, per l’Ici troppo alta, per i Dico, perché il programma non mi piace, perchéè ora di finirla con la distruzione della natura?Tutti, ma proprio tutti, mi hanno risposto con un’imprecazione. Diversamente formulata e colorita, ma pur sempre un’invettiva concisa e definitiva. Eppure è gente che ragiona, amici con cui condivido riflessioni profonde oltreché ravioli, menti che ritengo lucide e generose, sane. Che cosa è successo?
Per quello che vale, io penso questo. Penso che i miei amici, incredibilmente compatti, non abbiano inteso “lanciare un forte segnale”, come si sente dire. No. Hanno deciso di non avere più niente da dire o lanciare. Hanno premuto un interruttore. Clic. Fine, buio. Ritirata la delega. Se mai qualcuno dovesse porsi il problema, con loro non è più possibile relazionarsi politicamente, cercando di convincerli che no, non è come loro credono; non nello spazio politico così come è. Quello è ormai solo maceria, loro lì non ci sono più. Non fanno più parte del quadro e non del paesaggio dentro il quadro. Oppure, opposto e identico, il quadro e il paesaggio non fanno più parte della loro vita, non hanno parete a cui appenderlo. I miei amici ininfluenti, il mio campione inattendibile non pone più domande perché ha cessato di aspettarsi risposte.
Tratto da “Il Secolo XIX”, 3 giugno 2007