Maurizio Maggiani: Riflessione sugli oggetti
Questa è la settimana del gorgo, della voragine, del fondo nero del pozzo. Forse sarà per il mondo la settimana decisiva per le sorti della pace e della guerra, sarà per l’Italia la settimana dell’ultima sfida per le elezioni del secolo, ma per me questa è la settimana del Grande Trasloco. E al centro dell’universo ci sono io al centro di una stanza in mezzo agli scatoloni. E non vorrei ma i essere arrivato a questo punto, e darei tutto quello che ho perché questo calice colmo di amaro sia allontanato da me, ma al punto in cui sono non c’è forza suprema del bene o del male che possa sottrarmi a ciò che va compiuto.
Il Grande Trasloco. Avevo giurato che non ce ne sarebbe mai più stato uno, mi ero detto che non avrei più potuto sopportarne il peso mostruoso, e invece eccomi qui, nel momento terribile e unico, quando non è più possibile rimangiarsi le decisioni prese, quando la disdetta è stata data e presto mancherà la luce. E tutto il resto. E la nuova casa è là, vuota, distante, sconosciuta; bella, sì, ma vista da questa stanza, da questi pacchi, impossibile. Il Trasloco è un lutto, gli psicologi sostengono che sia il lutto maggiore di una vita, esclusa la morte dei familiari diretti. Lo so che è così, lo sento dentro lo spaesamento, il senso di vuoto, la frustrazione della perdita, l’angoscia di ciò che verrà. E se la nuova casa mi dovesse respingere? Se io non sapessi penetrare la sua intimità? Abitare una casa non è una roba da niente. È un matrimonio, un’associazione mafiosa, un patto segreto, un mistero di intese, un patto per la vita. Sento attraverso le tubature piangere questa casa che sto lasciando vuota dopo averla riempita di me, di ciò che ho e che sono. Piango per questa casa che mi accolto, protetto, sostenuto. Vorrei già esser là, vorrei esserci già da un pezzo, da abbastanza tempo far finta di dimenticarmi di qui. Vorrei che questo trasloco, non durasse un’eternità. E invece non finisce mai. Perché niente fila mai liscio in un trasloco, perché un trasloco finisce fatalmente per essere un gioco di Monopoli dove ti tocca sempre il cartellino rosso degli imprevisti. E poi perché la verità è che ti sei riempito la casa di roba, sei sovrastato di cose, di strati di cose, di montagne di cose.
Ecco, ora al cospetto di tutto ciò che hai messo assieme, non riesci neppure a sapere di preciso per quale ragione l’hai fatto. Come ci è finita tutta questa roba in casa mia? Perché l’ho comprata, perché l’ho messa via, conservata, dimenticata? Allora pensi che, se non altro, il trasloco può servirti per fare pulizia, fare ordine tra le tue cose, distinguere l’utile dal futile. Come dire: mettere ordine nella tua vita. Ci provi, ci provi sul serio, perché un trasloco è davvero una svolta della vita e dunque sia compiuta nel modo giusto, badando all’essenziale. Per un nuovo, lungo viaggio si deve partire leggeri. Già. Allora rifletti sull’essenziale, su cosa davvero vale la pena di portare con te. Sul serio ci pensi, e scopri che se davvero quello che vuoi per la tua nuova vita è lo strettamente necessario, bé il trasloco è presto fatto. Ci metti un attimo a traslocare, lo puoi fare in autobus il tuo trasloco, visto che quello che ti serve sta in paio di sporte di plastica. Ma davvero sei disposto a questo? Davvero sei capace di scegliere il rigore, l’estrema disciplina dell’essenziale? E ti metti a pensarci ancora un po’, e guardi le montagne di cose che hai intorno, e cominci a dirti: ma, però, questo mi serve proprio, quest’altro come faccio a lasciarlo con tutto quello che mi è costato? E quest’altro ancora? Sai com’é, un domani non si sa mai. Naturalmente non sei più capace, sempre che tu lo sia mai stato, di pensare a una vita priva della moltitudine di inutili chincaglierie con cui hai cercato di rendertela tollerabile, se non piacevole. I mille oggetti di pura illusione con cui hai pensato di farti forte. La muraglia dietro cui, stoltamente, hai pensato di poterti barricare e respingere le imprevedibili incertezze della vita. E naturalmente il trasloco diventa un poderoso esodo di carriaggi, polo intero. E imbusti, insacchi, inscatoli per giorni, settimane, anche se quello che regali o butti, o lasci, ti sembra molto, coraggiosamente più di quanto potrebbe essere. E sei pronto a partire, e il traslocatore ha confermato, e ti senti morire. Ma ormai ci siamo, forza! E passando per la milionesima volta in questi anni nell’atrio delle vecchia tua casa, dai un’occhiata per la prima volta in vita tua alla bacheca delle comunicazioni condominiali. Così, per uzzo. E scopri che l’amministrazione chissà in quale buia notte di tempesta, ha clandestinamente affisso un biglietto, e nel biglietto c’è scritto che la strada di accesso a casa tua sarà chiusa per qualche mese, causa urgenti lavori strutturali. E adesso pover’uomo?
Tratto da “Il Secolo XIX”, 6 giugno 2004