Maurizio Maggiani: Quelli del Pci, sezione Nord, gente rude e buona. Chissà se ora riuscirei a litigare con quelli del Pd

Ho vissuto la parte più formante e viva della mia vita, dai venti ai trent’anni, gomito a gomito con una sezione del Partito comunista iItaliano. La sezione Nord, piazza Brin, Quartiere Umbertino, anima della storia popolare della Spezia. Vivendoci accanto ci ho litigato per tutto il tempo, ma ci sono pure cresciuto assieme, e oggi che ci sto pensando, se non ci fosse stata quella sezione non sarei cresciuto così come oggi sono, e certamente non meglio.
Non era una sezione di intellettuali la Nord, ma di gente che “faceva”, uomini e donne che facevano politica lavorando con le loro mani. Tanto per cominciare, prima ed essenziale parte della politica, rappresentazione materiale del loro ideale. Che ce lo avevano e lo coltivavano, con le non moltissime parole che avevano a disposizione, con le molte cose che sapevano fare. Litigavamo perché avevamo parole diverse e modi diversi per lo stesso ideale; un ideale per niente complicato, che alla fine di giustizia e libertà si trattava, non di altro.
Quelli della sezione ritenevano un dovere, parte del loro “fare”, mettermi sulla giusta strada ed avevano una idea chiara e semplice di quale fosse: rendersi utili nella storia presente. Io ero sempre un po’ più in là di domani, e per loro questa era una buona scusa per parlare tanto e fare poco. Oggi non sarei così sicuro di dargli torto. Mi trattavano discutendo con ruvida fraternità, con severa familiarità; era uno stile, lo stile Nord, militanti di base popolare. E a me quello stile faceva bene, mi imponeva di crescere, mi piegava alla ragionevolezza. E mi risparmiava la solitudine. Quelli della Nord c’erano, sempre; sempre a chiederti di dare una mano. Dare una mano a fare cose utili. Aiutare, condividere. Volevamo tutti quanti bene al posto dove vivevamo, e quelli della Nord sapevano cosa fare per renderlo sempre benevolo.
Le feste dell’Unità erano feste, appunto, le feste della piazza e del quartiere. Scendeva la gente dalle case e dava una mano; la davano anche “quelli dei preti”. Dopo, la piazza era sempre più pulita e più splendente. Presidiavano il nostro quartiere contro il degrado della solitudine e contro la sporcizia; nel loro modo così poco elegante, amavano la bellezza e pensavano che ce ne dovesse essere per tutti. Quelli della Nord non sapevano fare solo collette per il loro partito, ma anche per quelli che avevano bisogno di mangiare e di vestirsi, o di andare a Parigi a farsi operare. Sapevano fare il vino e vendemmiavano nella loro sezione, ma sapevano anche chi faceva il pane più buono della città e sapevano compilare per te il modulo per una domanda di lavoro.
Quelli della Nord non ci sono più da un pezzo; i vecchi sono morti e i giovani dispersi. Credo che la sezione ci sia ancora, ma di sicuro non c’è più quella gente, quella che faceva le cose dell’ideale, nello stile della Nord. Non è un caso, secondo me, che nella piazza che tutti amavamo oggi ci sia solitudine e degrado. I dirigenti di ciò che resta del loro partito dicono che nell’epoca presente la sezione del partito non ha più senso così com’era. Credono nel partito “leggero”; leggere discussioni, azioni leggere, leggeri ideali. Quando parli con loro ti chiedi a cosa credano, se credono davvero a qualcosa; hanno un sacco di parole a disposizione, ignorano la ruvidezza, ma non si sanno spiegare.
Da un po’ di tempo mi parlano del Partito democratico, e non riesco a capire a cosa serva. Li ascolto con pazienza, senza malizia, ma non trovo una, una sola delle cose concernente l’ideale che mi hanno insegnato a vedere, capire e poi fare quelli della Nord. Chissà chi saranno gli uomini e le donne che frequenteranno le sezioni del Partito democratico, se mai avranno voglia di chiamare un ragazzo a litigare con loro; se avranno voglia di portarlo con loro a pulire la piazza per rendersi utili alla storia presente. Se avranno mai voglia loro di mettersi a pulire una piazza.

Tratto da “Il Secolo XIX”, 22 aprile 2007