Maurizio Maggiani: Quella “M” misteriosa sui muri di Genova

Odio le scritte e gli sfregi murali. Li odio perché odio gli slogan: uno slogan, qualunque slogan secondo me, è la forma più autoritaria, stupida e violenta per dare forma a un’idea, un potere, un prodotto. Voglio che mi si spieghino le cose, non che mi si impongano: se trovo scritto "liberi tutti" il mio primo pensiero è "colo cacchio liberi tutti, liberi tutti chi?".
Li odio perché ho un forte senso della proprietà comune e dell’uso comune della proprietà; ragion per cui ritengo che la facciata del palazzo dell’abominevole istituto bancario e dell’esecrando barone, mi appartengano.
Sento di essere proprietario, assieme a chiunque altro, di tutta la bellezza che mi circonda e di cui posso godere abbracciandola con il mio sguardo, percorrendola con i miei passi. So che molta della bellezza di cui godo andando in giro per la città è fatta dal lavoro di chi non la possiede legalmente, ragione di più per sentirmene responsabile e padrone, per provare un potente istinto di protezione. E’ per questo – e perché è con i miei sudati tributi che i muri cittadini sono faticosamente, e raramente, ripuliti – che odio il falso anarchico che scrive il suo falso atto d’accusa, l’idiota tifoso che esclama il suo idiota entusiasmo. Se lo scrivano sulla fronte, o sul didietro, quello che hanno da dire con lo spray.
Ma c’è la misteriosa M che mi affascina e mi confonde. La prima volta l’ho trovata in salita San Francesco, poi, giù per certi vicoli e cantoni nel centro storico, adesso la incontro ovunque. Ovunque per volte e viali. Questa mattina su per Famagosta, Balaclava, Pietraminuta, Monte Galletto, Kassala, San Barnaba. Salite e passi che neppure esistono se non ci vivi o ci vai testardamente intenzionato a conoscere la città dove vivi palmo a palmo.
E’ una M in stampatello fluido e leggero, in pennarello nero. Mai più grande di un palmo, a volte ripetuta ma mai soverchiante, mai troppo vistosa. Quasi sempre lasciata sulla superficie odiosamente grigiastra di una cassetta dell’Enel, mai su una facciata appena rifatta, su un muro pulito e piano, ma sempre nella materia secolare di vecchi intonaci scalfiti. E’ un segno, un gesto. Non so cosa voglia dire perché niente la spiega.
Non so se odiarla come ogni altro graffito e se invece lasciarmi prendere dal suo mistero. Ci ho fatto casso all’inizio perché M è una lettera che per forza di cose mi è familiare, ho cominciato a inseguirla per gioco. Poco a poco è diventata una specie di caccia, un’indagine condotta da uno Sherlock Holmes in tuta da ginnastica e zainetto; da stamattina, da quando l’ho trovata sul muro muschiato di una segreta creuza per Righi, dove a passare pensavo di esserci solo io ormai, mi chiedo se non sia la misteriosa M a inseguire me. Chi è che si fa a piedi tutta la città e firma il suo passaggio? Una persona sofferente e frustrata, un artista all’apice del suo intimo successo? Firma con l’iniziale di un nome o vuol dire qualcos’altro? M sta per Mario, Maurizio o per male, o per m. La M così morbida, flottante, aggraziata, è un’affermazione o una protesta?
Da un po’ di tempo noto che la M è a suo tempo inseguita da qualcun altro. Sempre più spesso sopra la M compare uno schizzo di calce bianca. Non un tratto di vernice spray, ma proprio uno schizzo, con le sue gocce, come se fosse stato lasciato da una pennellata, come sanno dare con grazia straordinaria i muratori nel rifinire gli intonaci. Anche questo un gesto. Mi ha detto Maria, che conosce la strada e la notte, che c’è una leggenda su una vecchietta che nel cuore della notte se ne va in giro con il suo bulacco di pittura e il pennello a rispondere alle M. Non so decifrare quella candida risposta come non riesco a intuire la domanda di quella nera M.
So, lo sento intimamente, che nella misteriosa M e nella leggendaria vecchietta schizzante, c’è qualcosa e qualcuno che parla a questa città. Forse non saprò mai chi, così come non riuscirò mai a capire cosa; forse è giusto e bene che non lo venga mai a sapere. Ma, confuso nella grandiosità delle sue bellezze, nella vastità delle sue brutture, la città ospita un piccolo segreto in più, una voce inudibile, un messaggio indecifrato. E, io che odio chi imbratta i muri, amo di questa città ogni suo mistero, tutto ciò che mi lascia interdetto a pensare quanto sia complicato.

Tratto da “Il Secolo XIX”, 25 gennaio 2004