Maurizio Maggiani: Perché rinuncerò al diritto di voto
L’altra mattina ho ricevuto la telefonata di un candidato alle prossime elezioni regionali che mi ha chiesto se gli facevo la cortesia di dichiarare pubblicamente la mia intenzione di voto a suo favore.
Ho risposto che no, grazie, e il richiedente si è proclamato sinceramente addolorato per il mio diniego.
La sincerità del suo addoloramento mi ha colpito. Quell’uomo è una brava persona, come amministratore so che si è comportato correttamente e so anche che gode di un certo seguito tra i suoi potenziali elettori. Se decidessi mai di andare a votare per il governo regionale, è probabile che nel segreto dell’urna darei a lui la mia preferenza; ma, come ho cercato di spiegargli, sarebbe solo per assecondare una mia intima debolezza, e le debolezze non si proclamano urbi et orbis. Se rimarrò fermo nei miei principi, se non mi farò ancora una volta sorprendere dal sentimentalismo, mi asterrò.
Non parteciperò alla spensierata gita che alcuni amici stanno preparando in una rinomata località delle Langhe, fortemente motivata dal fatto che nel giorno dei lessi allora non c’è miglior lesso di quello piemontese, ma, più signorilmente, me ne starò in quieta riflessione domestica. La mia sarà un’astensione forte e sentita, un’affermazione di dignità. Perché credo che da un pezzo ormai sia venuto il tempo della dignità, e se la dignità costa la fatica della solitudine e la rinuncia al prezioso diritto elettorale attivo, allora ben venuti tempi delle fatiche e delle rinunce.
Che relazione c’è tra la dignità e le elezioni regionali? Ora mi spiego. Ho sotto mano i dati dei flussi elettorali degli ultimi dieci anni. Dicono una cosa inequivocabile, ovvero che va progressivamente restringendosi in modo univoco il numero dei votanti. In questa città, in questa regione, in questo Paese. Vuol dire che sempre meno cittadini usufruiscono del loro diritto di voto e che quei cittadini quando hanno votato si sono espressi per i partiti progressisti. La destra vince semplicemente mantenendo i suoi elettori, la sinistra i suoi li disperde nel nulla; ed è un patrimonio che le consentirebbe di governare.
Questo è un dato materiale, non una interpretazione, questi sono i fatti. E di fronte a una materia così chiara, la cosa più urgentemente ragionevole che la sinistra dovrebbe aver fatto, è di riconquistarsi quei voti. Capire perché li ha persi e comportarsi di conseguenza. Cosa che i dirigenti politici della sinistra non si sognano di fare. Perché è un compito difficile, perché metterebbe in discussione le idee che si son fatti del mondo e, soprattutto, loro stessi. Riconquistare al voto milioni di cittadini demotivati ma ricchi di sentimenti morali e civici, istruiti e attivi – perché di questi si tratta, e non di fasce marginali di disadattati improduttivi – richiede uno sforzo che loro non vogliono fare. Sanno chi sono i mancati elettori, hanno dati precisi e analisi puntuali, ma lasciano perdere, troppa fatica. E troppo rischioso: metti che per ritornare a votare chiedessero un vero e radicale rinnovamento della classe dirigente?
Già questa rinuncia, questa forma di egoismo imbelle, a me pare sufficiente per dichiarare inetta una classe politica; basta e avanza per l’accusa di indegnità. Ma il maggiore partito della sinistra – e di fatto l’unico, vista la patetica inconsistenza degli altri – il Pd, ha avuto un’idea che, secondo i suoi astuti dirigenti, rende tutto più facile: andiamo a prendere altrove quello che abbiamo perso qui. Ed è nato il grande disegno politico di alleanza strategica con i centristi dell’Udc. Che meno i progressisti vanno a votare, più assurgono all’invidiabile posizione di ago della bilancia.
Personalmente non ho nulla contro l’Udc e i moderati in genere; credo addirittura di essere io stesso un moderato. Ma ecco ciò che mi è stato presentato in occasione delle elezioni di questa regione.
1) Non ci sono state elezioni primarie per la nomina del candidato a presidente. Secondo me le primarie sono un principio, una conquista, irrinunciabili, strumento fondante del Pd; dicevano così anche i capi del Pd, al tempo che le primarie non gli creavano problemi, visto che erano un pro forma. Va bene, all’attuale candidato non si sono palesate alternative, ma nutro il sospetto che è tale la forza e l’impermeabilità del gruppo di potere politico del Pd, che se mai si fosse presentata l’evenienza di un concorrente, si sarebbe guadagnato un immediato Tso, trattamento sanitario obbligatorio, psichiatrico, naturalmente.
2) È stato fatto un accordo con l’Udc, un buon accordo, dichiara l’artefice. Ma al riguardo del buon accordo sono stati forse interpellati gli iscritti, i simpatizzanti, i possibili elettori? Non risulta, non è prassi; la politica partecipata è una rottura di palle, una sentina per tutte le trame, questo pensano.
3) A me piacciono le biografie; secondo me – e, se mi posso permettere, anche secondo l’Iddio che giudicherà – un uomo è la sua biografia, ciò che è stato e ciò che ha fatto. Bene, conosco a pieno la biografia del candidato dell’Udc del mio collegio, e non trovo immaginabile l’idea che possa governare grazie al mio voto; che possa anche solo guadagnarsi qualche posto di potere nella pubblica sanità, dati i suoi antichi e solidi appetiti.
Ecco perché non vedo dignità nell’esercizio della mia cittadinanza elettorale. Ecco perché mi sento fraternamente solidale a quanti nella dura rinuncia alla loro cittadinanza elettorale hanno trovato l’estrema e unica possibile dignità. Così ci rimetteranno le brave persone, come quella che mi ha chiesto di pronunciarmi in suo favore. Pazienza, ciò che perdono loro è sempre meno di quello che ho perso io. Colgano l’occasione per darsi del tempo per pensare e inventare qualcosa di buono. È l’unica cosa che serve davvero in quest’epoca.
Tratto da “Il Secolo XIX”, 7 febbraio 2010