Maurizio Maggiani: Per la politica sono morto, l’ho capito via radio mercoledì alle ore 14.50
Appartengo a una generazione che conta un numero eccezionale di suicidi, gran parte dei quali meditati e messi in opera nel modo più cruento del gesto autopunitivo, con la lentezza. Suicidi protratti negli anni e nei decenni, consumati nella crescente interminabile sofferenza. Suicidi di massa per mezzo dell’eroina, per mezzo dell’alcool, per mezzo della psicoterapia, per mezzo della sindrome immuno depressiva, per mezzo dell’obnubilazione affettiva; lenti, infiniti rituali di suicidio concepiti con l’esercizio perverso di una fantasia che la mia generazione ha avuto il privilegio di poter coltivare senza gli impedimenti materiali che sono toccati a quelle che l’hanno preceduta.
Io pensavo di essere compreso nel numero di chi se l’è cavata, bene o male salvo; l’ho pensato con sincero spirito positivo fino a mercoledì scorso alle ore 14.50. Quel giorno, a quell’ora, ho sentito con chiara coscienza che stavo morendo. E sono morto, per mia stessa mano, per una singolare pratica di suicidio differito; apparentemente, ma, ora mi accorgo solo apparentemente, inconsapevole. Il mezzo da me scelto e seguito con esemplare determinazione è di natura elettromagnetica: mi sono suicidato con le onde a modulazione, con la costante esposizione alla frequenza di 104,5 Mhertz per la zona di Genova. A quella frequenza emette i suoi segnali la stazione Radio Rai Parlamento, emittente pubblica che mette in onda i dibattiti e i lavori del parlamento e delle sue commissioni. Da quando esiste, da anni, ogni mattina che Iddio ha regalato al mondo, mi sono connesso con quella stazione, non meno di un paio d’ore quotidiane, a volte per l’intero arco della giornata, accumulando tossico non differentemente da un alcoolista, da un eroinomane; ho sempre saputo quanto male mi avrebbe fatto, ma non ho mai saputo resisterle. Ho assunto come uno stupefacente dosi sempre più massicce di dibattiti, di question time, di interviste, di relazioni, di votazioni. Non so quanti, come me, possono dire di conoscere i deputati e i senatori delle ultime due legislature uno per uno; i loro toni di voce, i loro costumi e i loro stili. Ascoltandoli parlare anno dopo anno, conosco ogni cosa di quello che dicono di pensare, di voler fare e di voler impedire che sia fatto; ricordandomi di quello che hanno detto conosco le disinvolture, i tradimenti, gli opportunismi, le inverosimili ignoranze. Il disprezzo di molti per lo spirito dello stesso luogo che li ospita, il disprezzo degli eletti dal popolo per il popolo.
Mi ha fatto paura la destra di questo Paese perché mi fanno paura i suoi uomini in Parlamento, mi fa paura l’estraneità all’idea di Stato e di servizio allo Stato di grande parte di quegli uomini.
Ho dato fiducia alla sinistra di questo Paese perché mi ispiravano fiducia alcuni almeno dei suoi uomini in Parlamento, per la dirittura che manifestavano, per lo sforzo di produrre politica con le idee e non solo con gli interessi. E mi sono drogato, fino all’overdose, con l’idea che il Paese fosse il Parlamento e la vita del Paese intimamente correlata alla vitalità del Parlamento; sintonizzandomi con il Parlamento mi sarei sintonizzato con il destino del Paese. E in questo modo sono arrivato alla conclusione che se cosìè, questo è un Paese perso. Ne posso avere la certezza perché ho assistito al degrado del Parlamento giorno dopo giorno, intossicandomi di quel degrado. Ora io sono un uomo morto alla politica; lo sono dalle ore 14.50 di mercoledì, quando il presidente del Senato ha letto gli esiti della votazione sulla relazione del ministro degli Esteri.
Ho ascoltato negli anni approvare leggi immonde, ho ascoltato rifiutare leggi ragionevoli, ed è degrado, ho ascoltato schiamazzare, insultare, provocare, ed è degrado, ho ascoltato i maramaldi sbeffeggiare gli onesti, ed è degrado ancora e più, ma ho sempre pensato che qualcosa e qualcuno alla fine avrebbe riscattato tutto questo, allo stesso modo in cui un tossicomane vive nell’illusione che alla fine qualcosa lo riscatterà. E mercoledì ho ascoltato cadere il governo del riscatto. Caduto per mano di se stesso, per mano di Iddio -ho sentito la signora Binetti dichiarare di aver molto pregato perché questo accadesse – per mano della Confindustria, del Vaticano, per mano dei marziani, non importa. Non a me.
Ho ascoltato quella mattina un ministro degli Esteri -Dio sa quanto ho trovato insopportabile quell’uomo nell’ultimo decennio – parlare del suo lavoro come ci si aspetta che debba fare ed è bene che faccia. L’ho ascoltato giganteggiare – Dio sa quanto sono poco incline a riconoscerlo – su cento altri discorsi e cento altre politiche, e ho ascoltato farlo fuori tra gli schiamazzi e le dichiarazioni di principio, indistinguibili le une dagli altri. L’unica cosa che ho visto di questo governo del riscatto nei suoi otto mesi di esistenza è stata una politica estera; se questo governo merita di estinguersi per questo, vuol dire che il Parlamento ha deciso che è bene che non ci sia niente da vedere. Buonanotte allora.
Io mi sono estinto alla politica, se la politica è quella che il Parlamento mi ha imposto mercoledì, e i partiti che hanno generato questo Parlamento mi hanno imposto nel corso degli ultimi decenni. La prossima volta che mi si chiederà di votare, mi rifiuterò di farlo; e continuerò a non votare finché il mio voto servirà alla coltivazione del degrado, alla sua perpetuazione. Credere nella possibilità di una politica diversa, in un diverso Parlamento, non mi è possibile, non fino a quando uno solo tra i miei avvelenatori mi sopravviverà.
Tratto da “Il Secolo XIX”, 26 febbraio 2007