Per favore urli piano

Volete sapere come mi sento io in questi giorni? Male, davvero male. Ho male un po’ dappertutto, ma dove mi duole di più è nell’anima, e dell’anima quella parte così delicata e tenera, laggiù, dove risiede la mia dignità civile. Sapere qual’è, precisamente, la sensazione del mio stato, la qualità di orrendo dolore che provo? E’ come se fossi stato rapito da un maniaco che si sta alacremente dedicando a stuprarmi. Mi spiego? E io cosa faccio? Quello che posso. Urlo, ecco cosa faccio, strepito, mi divincolo e schiamazzo a più non posso, perché qualcuno accorra in mio aiuto, perché qualcosa mi salvi. E sapete cosa succede? Succede che sono anche venute a vedere cosa sta succedendo le autorità preposte alla salvaguardia della mia anima di cittadino.
Sono venuti il poliziotto di quartiere, la guardia medica, il difensore civico, lo psicologo e non so chi altri; sono venuti in parecchi, a turno. Si sono messi lì a constatare il fattaccio, e sapete cosa hanno fatto? Mi hanno forse tolto dalle grinfie del maniaco, mi hanno forse soccorso, assistito, ricucito? No, mentre il cancelliere stilava il verbale, tutti quanti in coro e ognuno di loro da solista – tutta brava gente preoccupata, addirittura scandalizzata da quello che stava accadendo – mi hanno ingiunto: abbassi i toni, per favore.
Urli piano, ecco cosa mi hanno consigliato per uscir fuori dalla incresciosa evenienza. Abbassare i toni? Ma vogliamo scherzare? Stanno prendendo la storia, la storia del mio paese, la mia storia, e l’hanno rivoltata, fatta a pezzi e rimessa assieme in un’abominevole ricucitura. Stanno arraffando gli oggetti più preziosi che questa storia ha saputo creare, la Carta della mia cittadinanza tanto per cominciare, e li stanno mettendo all’incanto di un’asta truccata. Prendono la mia libertà civile, il mio diritto a sapere, a scegliere, a ragionare, e li pervertono in frivoli slogan per idioti. Le pubbliche istituzioni di giustizia, di informazione, di istruzione sono al momento sotto amministrazione controllata. Avendole dichiarate fallite. E io dovrei abbassare i toni? Ma vi piace davvero, cittadini, vivere qui, ora, sotto il caldo sole di questa nuova Italia? Pensate che ve la spasserete? Ditemi, ve la state godendo? Qualcuno di voi ha per caso ricevuto un equo compenso per essere violato in questo modo? Pensate che sia possibile un compenso equo per questo genere di danno? Cosa vi rimarrà alla fine? Dico qualcosa che possiate tenere per le mani senza un po’ di raccapriccio ma con vera soddisfazione, qualcosa che possiate consegnare ai vostri figli con orgoglio. Oppure, cittadini, siete diventati quello che vedeva Indro Montanelli dalla sua finestra: una plebe borghese satolla di niente? No, io i tono non li abbasso, anzi li alzo. Perché voglio che qualcuno mi salvi. E allora quel poco fiato che mi rimane non lo uso nella stolida e masochistica invettiva contro lo stupratore; sai che gliene importa se gliene dico di tutti i colori, capace oltretutto che si rivolge al poliziotto che sta lì a fare il verbale e mi denuncia per diffamazione. Grido perché accorra chi mi può davvero aiutare. Voi, cittadini, che non vi fate giustizia da soli ma la formate la giustizia, la costruite. Voi che pensate liberamente, potete liberarmi, voi che volete dignità potete ridarmene, voi che non avete paura potete farmi coraggio, voi che credete nella storia potete cambiarla in meglio. E io come voi, perché tutta questa storia, credeteci, non è altro che il mio sogno da questa mattina appena prima del risveglio, e a un certo punto io non ero più io ma un sacco di gente che neppure conoscevo. E lo stupratore non aveva neppure una faccia.
Tratto da Il Secolo XIX, 11 Maggio 2003