Maurizio Maggiani: Non si vince con le favole

Scrivo queste cose da Mantova, dal Festival della Letteratura. Viste da qui, le notizie che i giornali riportano sul nostro primo ministro assumono un aspetto particolare. Qui a Mantova è più facile incontrare uomini migliori che altrove e ascoltare cose più interessanti. Ragion per cui sono stato un po’ lento a realizzare il fatto che questi sono giorni di grosse novità per il mio Paese, visto che i fatti riguardano l’alto vertice del suo basso ventre.
Con uno spirito profetico che solo i grandi folli e i divini comici hanno in dote, il principe De Curtis ci aveva già raccontato parecchi decenni in anticipo che avremmo eletto l’Onorevole Antonio La Trippa. No, nessuno stupido riferimento all’aspetto fisico, niente satira faziosa, nulla che sia gratuitamente offensivo, ma una cosa molto seria. La maggioranza del popolo ha scelto che la propria trippa conta più di ogni altra parte del corpo e ha trovato l’uomo giusto.
Cosa c’è per antica tradizione culturale nella trippa di un popolo? Tutto meno che la legge morale, la coscienza, l’anima. Ci sta l’appetito e la voglia di levarselo a gratis, lo sberleffo e la voglia di prendersi gioco di tutto, la menzogna e la voglia che diventi verità, il desiderio di trasgredire e la voglia dell’impunità, la passione lubrica e la voglia di sfogarsela.
Il ventre di un popolo risiede nel ventre di tutti noi. Nessuno può dire in coscienza di non averla mai ascoltata la sua trippa. Ognuno di noi può dire di aver combattuto dure battaglie con la sua trippa. La maggioranza di questo Paese ha a suo tempo deciso che era una battaglia persa e doveva essere La Trippa a governare anima, coscienza e legge. E così è. Non da ieri. La novità non è questa, la novità è che ora La Trippa del popolo ha deciso di esibirsi in franca e totale sincerità, orgogliosa di se stessa e dei risultati raggiunti. È una cosa molto positiva, perché nessuno può oggi dire in onestà di nutrire dubbi in proposito. Quello che mi suona male è la sensazione di sicurezza, di tranquilla fiducia, che pervade, leggera e odorosa come borotalco, l’opposizione, la sinistra. Come se il fatto che La Trippa si fosse disgelata, avesse avviato un destino di sconfitta. Non ci credo.
Pinocchio, Lucignolo e i molti loro compagni non erano cattivi ragazzi. Si sono messi in marcia con Mangiafuoco verso il paese della Cuccagna solo perché trovavano irresistibile il richiamo delle loro giovani trippe. Non è bastato che si aprisse il raccapricciante circo, che mille segnali li spingessero a considerare la verità della Cuccagna:il richiamo era troppo forte. È stato necessario il peggio;non solo che crescessero recchie d’asino, ma l’evidenza di rischiare la pelle. Questo Paese non è arrivato a questa coscienza, non tutto, non la sicura sua maggioranza. È duro tornare a legge, anima e coscienza quando hai appena deciso che potevi finalmente spassartela.
Questo Paese ha altre storie che ci raccontano la stessa cosa. Se la sai raccontare bene, una storia anche madida di menzogne può durare un’eternità. Lo dice uno che racconta storie di mestiere.
Questo non è un Paese di uomini cattivi, non più degli altri. Se ha voluto mettersi in carovana con il circo di Mangiafuoco è perché gli è sembrata confusa, incerta, contraddittoria l’offerta di anima, legge e morale. Perché non ne ha visto esempi lampanti, inequivocabili segni di concreta bellezza. Responsabilità del Grillo Parlante, dice Collodi. E della Fata Turchina, e di Geppetto, che, leggetevelo ancora una volta il suo libro, non è che gli sono proprio simpatici. Ora il falegname, il grillo e la fata, come se niente fosse, sono lì che aspettano Pinocchio rinsavito. "Che ti avevamo detto:hai visto quant’è brutto Mangiafuoco?" Funzionerà? Per ragioni di autocensura Collodi li fa funzionare. Era il milleottocento. Personalmente mi seccherebbe moltissimo oggi salvare la pelle solo per sorbirmi la solita solfa del babbino. Vorrei capire e convincermi che ho davvero davanti a me, dall’altra parte del paese di Cuccagna, una vita fatta di dignità nella legge, di benessere nella morale, di felicità nell’anima. Vorrei che ci fosse davvero un altro Paese dove poter vivere, vorrei che me lo facessero vedere, che me lo spiegassero per bene. E per essere sicuro di quello che mi dicono, vorrei sentirmelo dire con parole diverse e tutte nuove da quelle del Gatto e della Volpe.
Vorrei, siccome neanche Pinocchio è un cretino, vedere tutto questo con i miei occhi, con gli occhi almeno della mia intelligenza. Pensate di riuscirci elegante signora Fata, caro buon vecchio Geppetto, insopportabile Grillo? Come si impara bene qui a Mantova, oggi le favole non hanno più lo stesso rigido schema di quelle antiche. Oggi c’è il finale aperto. Perché invece avverto un insopportabile senso di claustrofobia quando sento ripetere il vostro richiamo: Pinocchio, Pinocchio, che hai fatto! Vedi bimbo che avevamo ragione noi? E chi vi ha detto che avevate ragione? Non starei per diventare pelle di tamburo se avevate davvero ragione.

Tratto da “Il Secolo XIX”, 7 settembre 2003