Maurizio Maggiani: Non metterò una pietra sulle Br
Ho visto il bravo scrittore Cesare Battisti invocare dalla splendida cornice parigina libertà per sé ed esecrazione per lo Stato di polizia che gli ha inflitto alcuni ergastoli, ho sentito la crema dell’intellettualità politica e profetica applaudire il bravo scrittore e autorevolmente chiedere un dovuto atto di indulto generale affinché venga chiuso un periodo della storia d’Italia ormai trascorso, e io, senza nessunissimo titolo se non quello, del tutto insignificante, di esserci stato, di aver vissuto in quel periodo, intendo dichiarare quanto segue. Auspico ardentemente, civilmente, civicamente, che il sopraddetto Cesare Battisti sconti la pena per gli omicidi per cui è stato definitivamente condannato. Fortemente desidero che si faccia per i suoi delitti un bel po’ di anni di galera, nell’ambito di una civile e civica e morale istituzione penitenziale. Contrario all’ergastolo, per profondi e irrinunciabili principii etici, spero altresì che egli abbia la possibilità di finire la sua vita da uomo libero e redento. Non ho firmato né mai firmerò appelli per un indulto generalizzato per i detenuti politici di qualunque fazione, gruppo e ragione, macchiati di crimini di sangue. Non trovo giustificazione alcuna per l’omicidio, ritengo criminali gli omicidi preventivi dell’amministrazione Sharon e di qualunque altra amministrazione pubblica o clandestina, qualunque siano gli intenti e le idee che le sorreggano. E soprattutto, soprattutto non voglio con tutte le mie forze che venga chiuso alcun capitolo della mia storia e della storia del mio Paese se prima non viene concluso, come ha chiesto al Secolo XIX l’ex brigatista Rocco Micaletto. Bisogna fare i conti con la storia, eccome che bisogna farli, e questo è esattamente il contrario di seppellirla sotto pietosi veli. Nessun velo per coprire niente e nessuno di tutto ciò e di tutti quelli che un secolo, un cinquantennio, un ventennio fa, oggi e, Dio non voglia, domani, si sono impadroniti della storia di un popolo per decretarne i suoi destini a loro piacere e ragione. Nella fattispecie chiudere con i cosiddetti anni di piombo sarà un atto di coraggio e di civiltà solo quanto questo popolo saprà cosa è accaduto e perché. Nemmeno Micaletto ha voglia di spiegarmelo. Ciò che adesso conosciamo sono le ombre, allo stesso modo che solo ombre conosciamo della storia di un Paese dove io sono cresciuto tra stragi, tentati e magari riusciti colpi di Stato, in un delirio di istituzioni violate, minate, esplose. Sono cresciuto in un Paese che aveva le sue speranze, sono costretto a vivere in un Paese che le ha perse perché gliele hanno rubate. Gliele hanno sottratte poteri deviati, infiltrati, venduti, e gliele hanno portate via anche uomini che hanno pensato di fare una rivoluzione ammazzando e poi si vedrà. Una rivoluzione in nome e per conto di un popolo che non è mai stato interpellato in proposito, sorretta da una ideologia che della materia di carne e pensiero del popolo se ne sbatte, perché il popolo intende costruirselo come pare a lei. Io sapevo, e avevo vent’anni di meno, il giorno che sono sceso in strada a piangere il cadavere di Moro, che andavo a piangere le mie speranze per un mondo che non avrei mai più potuto costruire. Andavo a piangere me stesso, la parte migliore di me, la più promettente. Penso allo stesso modo oggi. E dovrei metterci una pietra sopra? Se non vedrò mai il mondo per cui ho lottato voglio almeno sapere il perché. Voglio la verità, le verità, voglio discuterle, contraddirle, assimilarle, e alla fine, di fronte all’evidenza, accettarle. Ma solo alla fine. A quel punto si copra pure il sepolcro. Ho letto da qualche parte che i brigatisti accetteranno di parlare solo quando sarà concesso a tutti loro l’indulto. È probabile che concordino i pochi terroristi neri in detenzione. Mi sembra un po’ troppo. Credo che sia ragionevole chiedere loro quello che si chiede a un collaboratore di giustizia: vediamo cosa hai da dare alla giustizia, puoi avere da dare molto per lei, abbastanza addirittura per la tua immunità. Ma temo che siano in pochi, tra quelli che potrebbero autorevolmente chiederlo, ad avere voglia e interesse di farlo. È meglio per molti che si lasci tutto come sta o, se proprio si deve, mettere su tutto quanto, su un quarantennio di violata democrazia, una democrazia violata in nome di se stessa e dei suoi opposti, una bella pietra sopra. Fatelo, ma non a mio nome. Per quello che vale il mio nome, e cioè zero.
Tratto da: Il Secolo XIX, 10 marzo 2004