Maurizio Maggiani: Ma che paese siamo e che popolo
Vado letteralmente in visibilio per la democrazia diretta e partecipata, là dove i cittadini sono chiamati a condividere le informazioni e, in base a queste, decidere attraverso consultazioni referendarie per se stessi e per la loro comunità.
Per questa ragione ho una sconfinata ammirazione per il sistema democratico partecipativo della Confederazione Elvetica. Anche quando gli effetti di quel sistema non incontrano il mio favore, anche quando i cittadini prendono decisioni che appaiono controverse o deprecabili – come è accaduto recentemente in merito ai minareti in territorio svizzero – trovo che sia sempre preferibile l’onesta presa d’atto delle opinioni prevalenti, dell’ipocrisia e della menzogna sottese nell’azione di chiunque si proclami vero interprete della volontà popolare, imponendo perciò al popolo di tacere.
Certo che la democrazia diretta è faticosa e scomoda, ma esiste davvero una pratica diversa da questa che valga la pena di definire democratica? O c’è chi pensa che andare a votare una faccia vista e sentita in uno spot, e poi tornarsene a casa ad aspettare quel che succede, sia ciò per cui si è indefessamente prodigato il più alto pensiero umano per decine di generazioni, a costo di guerre e rivoluzioni? Direi di no.
La democrazia rappresentativa, nel modo in cui ce la godiamo in questo Paese, non solo ha tolto ogni potere di controllo ai cittadini, ma li ha resi infingardi, alienandoli da ogni assunzione di responsabilità circa il loro pensiero e le loro azioni. La democrazia partecipata è responsabilità; assumersi le proprie responsabilità di cittadini adulti e senzienti è il sommo dovere civico.
Ho propinato questo popo’ di manfrina ai lettori, perché sto ancora pensando ai “fatti di Rosarno”. Sappiamo tutti cosa è successo nei giorni scorsi, e mi hanno riferito che persino la televisione pubblica ha sottratto spazio alle sfilate canine per informarne ampiamente i suoi abbonati. Due cose mi hanno soprattutto colpito dei “fatti”. La prima è che tutti, ma proprio tutti gli interpellati, autorità politiche, religiose, sociali, sono concordi nel sostenere che quegli immigrati erano costretti a vivere “come animali”, la seconda è che nessuno, ma proprio nessuno, ha dato mostra di essere turbato dallo scandalo di esseri umani che vivono in condizioni bestiali nel territorio nazionale.
Non mi ha sorpreso il venire a sapere che l’organizzazione maggiormente impegnata nel sostegno di quelle bestie, è “Medici senza Frontiere”, quell’associazione di volontari che siamo abituati a incontrare nelle situazioni più disgraziate e tragiche del mondo. Dell’ipocrisia delle istituzioni amministrative e politiche ha già scritto su questo giornale in direttore, io vorrei aggiungere qualcosa sull’ipocrisia, e l’infingardaggine dei cittadini. Non quelli di Rosarno, ma dell’intero Paese. È per questo che ho cominciato con la democrazia diretta, referendaria. Mi spiego.
Come per l’appunto tutti, ma proprio tutti, sanno, e per primi quelli che fanno finta di non sapere, se un chilo di mandarini costa un euro, o una scatola di conserva di pomodoro ne costa la metà, se si trovano nei discount prodotti agricoli a costi abbordabili anche per i poveracci, è perché chi li raccoglie e li lavora è trattato come un animale, pagato un’elemosina, tenuto clandestino per averlo in pugno, messo a vivere tra i rifiuti. Fossero trattati con umanità e giustizia, i costi raddoppierebbero, triplicherebbero, visto che il resto della filiera non vuole certo rinunciare al suo guadagno.
Allora propongo un referendum. Si chieda al Paese se è disposto a pagare il triplo i suoi adorati mandarini, l’indispensabile salsa, la frutta che fa tanto bene, e rendere umana la vita degli umani bestializzati. In questo modo, assieme all’ingiustizia intollerabile, cesserebbero i disordini e le violenze, addirittura i figli dei bianchi autoctoni potrebbero prendere in considerazione quel tipo di occupazione, finalmente redditizia.
Ci state, italiani? O pensate che sia necessario tenere i prezzi bassi? Che con questi chiari di luna non possiamo permetterci il lusso della giustizia e dell’equità, della sicurezza e dell’umanità? E comunque vada, saranno i cittadini ad assumersi la responsabilità di decidere su un tema così delicato, così pregnante, e non la ‘ndrangheta. Come è loro primo dovere.
Per come vanno le cose temo che il responso delle urne premierà il basso costo, e dal punto di vista della civiltà sarà un bel duro colpo. Ma quel responso dirà senza ipocrisie cosa è diventato questo Paese, e se ci sarà chi lo vuole cambiare, saprà che dovrà farlo con una certa urgenza ed efficacia.
A proposito, vorrei sottoporre ai lettori un quesito, ozioso sì, ma affascinante: secondo voi, se l’attuale governo, o il prossimo o quello dopo ancora, di destra o di sinistra, proponesse al Paese la sospensione per venti anni di ogni genere di elezione politica o amministrativa, in cambio di un assegno mensile di 150 euro per ogni elettore per un equivalente periodo, ridistribuendo in questo modo il capitale risparmiato, quale responso uscirebbe dal segreto delle urne referendarie? Cosa vorrebbe per sé la maggioranza dei cittadini? La democrazia o la pensione? Che genere di responsabilità deciderebbe di assumersi, in base a quale bisogno e sensibilità civile od economica? Che Paese è il nostro, che popolo siamo?
Tratto da “Il Secolo XIX”, 10 gennaio 2010