Maurizio Maggiani: Lo schifo dello Spezzino e il giudice guastafeste

I sinonimi sono la ricchezza della lingua e dunque una ricchezza della vita. Cosa sarebbe una grande amore senza una scorta adeguata di sinonimi per colorarlo delle mille e mille sfumature che lo ravvivino giorno per giorno? E cosa sarebbe la bellezza delle cose, e cosa la bruttezza, se avessimo solo un pugno di parole per descriverle? Cosa mai sarebbe l’avversario di gioco, il nemico di classe, il centravanti della squadra avversaria, chi sarebbero mai l’arbitro e il giudice, se non avessimo una caterva di sinonimi per trasfigurare una triste e spoglia invettiva nella raffinata arte del turpiloquio? Trovarsi senza sinonimi al cospetto di un fatto, di un oggetto, di un sentimento, è un atto di resa di fronte alla complessità dell’esperienza vitale. E di converso, una realtà che non sollecita, o istiga, sinonimi, una realtà che ha per sé una sola parola, è un buco nero, materia collassata, implosione spazio temporale.
Ora non so se sono io a non trovarne o la realtà a non poterne avere di sinonimi, ma ho una sola parola per descrivere la condizione di quello splendido comprensorio dello “lo Spezzino” che si apre al mare e si chiude all’Appennino tra il golfo della Spezia e la valle della Magra. Una parola sola: merdaio. Fa male a dirlo e fa peggio a pensarlo, non è parola che fa bene a stamparla, ma ho solo quella. Per pudore potrei usare forse letamaio? Ma non è sinonimo e non è neppure concernente, perché a sporcare non sono stati gli animali, ma gli uomini. Questa terra è stata insozzata con tanto pervicace spregio, con tale spregiudicata fantasia – l’idea che questa estate sulla spiaggia di marinella i bambini abbiano fatto i loro castelli con un simpatico impasto di rena e amianto riesce ancora a farmi rizzare il pelo – che sono qui a chiedermi se non esista una segreta università dello smerdamento che ha generato nel tempo una classe di professionisti di fantascientifico livello. Sui passati schifi i lettori dovrebbero sapere quasi tutto – anche se, data la vastità della materia, forse uno specchietto riassuntivo non guasterebbe – sul presente possono informarsi adeguatamente sulle altre pagine questo giornale. Io ora sto pensando a una sola cosa: su come la materia possa diventare metafora. Sporchi fuori, sporchi dentro. Non è possibile insozzare in modo così massiccio e duraturo un territorio geografico senza sporcare il territorio umano. Questo penso, avendo ben presente che quando parlo di schifo ambientale, di truffe e reati ambientali, di smaltimenti illeciti, parlo del più grande affare del secolo. Nel delinquere ecologico c’è più ricchezza che in qualunque altra attività lecita e illecita; e ricchezza più veloce e distribuita in modo più pervasivo. E’ una montagna di denaro che va spalmata ovunque si vada a insozzare, e tutt’intorno e sopra ogni illecito, perché è solo il denaro che può attutire il tanfo. E il denaro genera potere e il potere ha necessità di denaro. E tutto va tenuto assieme, e ci vogliono mani ben salde perché la ricchezza sia duratura. Perché non arrivi a guastare le feste la giustizia.
E’ mai arrivata a guastare le feste la giustizia nello Spezzino? Sì, partendo da lontano. Da Asti per la discarica di Pitelli, di massa in questi giorni. A Spezia, che io sappia, per decenni c’è stato un solo magistrato che si è dedicato a guastare le feste. Uno. Un pubblico ministero a nome Attinà. Per decenni. Non ho mai parlato con quest’uomo, ma ho l’impressione che non abbia fatto vita facile a essere unico, e probabilmente non deve avere neppure un carattere facile, se si è intestardito per così tanto tempo nella sua unicità. Che in questo caso deve essere sinonimo di assoluta solitudine.
Bene, nemmeno un anno fa i giudici del tribunale della Spezia hanno chiesto al Consiglio superiore della magistratura l’allontanamento di Attinà per incompatibilità ambientale. A quel tempo si stava occupando delle vicende che hanno portato la procura di massa alla quarantina di incriminazioni di questi giorni. Era in forte contrasto con un giudice che aveva accolto con notevole disinvoltura le tesi della difesa, in particolare le perizie che oggi le indagini dei giudici di Massa attestano truccate.
I colleghi del giudice – all’unanimità – hanno trovato intollerabile questo contrasto e hanno chiesto l’allontanamento del pubblico ministero. Per incompatibilità ambientale; niente di più appropriato. Temo che la sua carriera poteva considerarsi conclusa se non ci fossero stati altri magistrati in altra procura a condurre altre indagini. Di certo, da quel momento in poi tutto è andato per il meglio nel grande affare, fino a qualche giorno fa. Mentre tutto intorno, nei poteri, nelle istituzioni, tra chi, avendo grandi responsabilità nei confronti dei cittadini e del territorio, doveva essere preoccupato ed allarmato, regnava il silenzio, come se una spessa patina attutente avvolgesse tutto quanto.
Una patina fatta di che? Non so. In ogni caso non mi risulta che quel magistero abbia avuto significative manifestazioni di solidarietà, non mi risulta che ne abbia neppure oggi, almeno pubbliche, se non dai disgraziati sommersi dall’amianto. I politici della città e della provincia allora tacquero; ancora, mentre sto scrivendo, sono silenti. Tra loro c’è senz’altro chi ha operato bene a difesa di ciò che resta dell’ambiente, ma sono tutti silenti. No, mi correggo, tranne uno. Mi pare che sia il vicesindaco della Spezia che ci ha tenuto a dichiarare a questo giornale che uno degli inquisiti gli risulti una brava persona. E questo, naturalmente, può essere ben vero.

Tratto da “Il Secolo XIX”, 30 ottobre 2005