Maurizio Maggiani: L’Europa quotidiana

Ecco, ho appena votato. Grato del messaggino che la Presidenza del Consiglio mi ha tempestivamente inviato, ho dato forma alle mie intenzioni e sono andato a votare per tempo, a compiere quello che per me è ancora un dovere. Già, sono cresciuto in un età di questo Paese, nel cuore della Prima Repubblica, in cui col voto la propria adesione a una politica, a un’idea, a un programma, era considerato il primo dovere di un cittadino. Perché la democrazia garantisce dei sacri diritti, ma nel contempo fa della pratica di quei diritti un dovere altrettanto sacro. A me andava bene così, ci credo ancora che sia giusto così.
Trovo ipocrita, addirittura insultante, chi afferma che, mettiamo, se un terzo dei cittadini non se la sente di esprimere la propria opinione al riguardo di una questione che riguarda la sua cittadinanza, questo deficit civile è “fisiologico” in una democrazia che non si è compiuta un bel niente. Se qualcuno trova inutile votare, vuol dire che trova inutile l’atto più naturale, più vivido di una democrazia; il che non mi sembra un gran bel sintomo. Per la democrazia, per chi la dovrebbe promuovere, per chi la dovrebbe esercitare; un brutto segno per tutti.
Per questa ragione non ho trovato esageratamente invasivo il messaggino della Presidenza del consiglio. Certo, ha danneggiato la mia privacy, ma quella è ormai fottuta da un bel pezzo. Tanto per dire, sarà un anno ormai che non riesco a far capire alla Tim che i messaggini pubblicitari che mi rifilano a vagonate disturbano la mia privacy, mi irritano, non li sopporto, ecc ecc. Ma questa è un’altra storia. Per esercitare il mio dovere di cittadino sono sceso tempestivamente dall’Appennino, dove stavo placidamente godendomi un dorato esilio dalla spaventosa fatica di galleggiare, sopravvivendo, all’ultima settimana di campagna elettorale. Settimana fatale, allorquando persino la Croce Rossa si esprime in un linguaggio di squisita fattura politica.
Non che nell’Appennino non si voti. Anzi, domani ci saranno molti nuovi sindaci da quelle parti. Ma cambia radicalmente, lassù, il modo di vivere l’esperienza politica. Sorprendentemente è molto più intensa, più viva. Nella settimana che sono andato a zonzo per i paesi, le frazioni, i cascinali, ho visto una moltitudine di comizi volanti, di piccole riunioni di piazza, di casa, di fontana. Centinaia di candidati scarpinanti per valli e prativi, le tasche rigonfie dei loro foglietti d’appunti per essere pronti a rispondere a migliaia di circostanziate domande. E il ponte da allargare? E il pulmino per i bimbi? E la caccia? E il pronto soccorso? E il Parco? E la cooperativa? Migliaia di buone, sane domande, semplici, per semplici problemi complicatissimi da risolvere.
Ammetto che mi sono persino divertito ad assistere alla campagna elettorale appenninica. Un sacco di brava gente, oltretutto, un sacco di ragazzi candidati a governare comunità antiche e vecchie. E gente che se parla di politica dal commestibili, in fila alla Posta, e al bar, naturalmente. Dove si danno del tu anche gli avversari, e se ne dicono di tutti i colori senza mai perdere il senso delle proporzioni. Ho visto sbugiardare un bugiardo, ma l’ho visto fare in rima, con una poesia appiccicata su tutti i muri e gli alberi del paese. Iniziativa di grande successo, decisiva per il risultato elettorale, mi hanno detto. La cosa assai curiosa, però, è che non mi è mai capitato di sentir parlare, o chiedere, dell’Europa. Come se quel voto fosse in definitiva solo un rimorchio appiccicato al motore delle elezioni amministrative per farsi un giro a sbafo.
Strano davvero, perché dà l’idea che i bravi e animosi cittadini appenninici ignorino, tanto per dire, che molto di quello che chiedono ai loro futuri amministratori potranno ottenerlo solo grazie ai fondi comunitari. Singolare che molti bravi candidati omettano di spiegarlo, come se fosse troppo difficile da capire che la parte più qualificata dei loro programmi dipende dalla fiducia che darà loro la Commissione europea. Come se l’Europa, l’Unione Europea, fosse una roba troppo complicata per dei montanari. Quando è invece è semplicissima e urgentemente concreta.
Chissà se qui in città si è stati più precisi in proposito. Chissà se, tanto per essere precisi, gli elettori italiani sono stati informati che i loro passati eletti al parlamento europeo si sono distinti come i più pagati e i meno presenti e produttivi dell’intera, cara, vecchia Europa. Comunque sia, buon voto, cittadini lettori.

Tratto da “Il Secolo XIX” 13 giugno 2004