Maurizio Maggiani: L’eroe padano e le nostre miserie

Ecce homo, ecco l’uomo del destino. Ecco l’eroe dei nostri giorni, l’eroe di oggi. Doppiamente eroe, perché oggi convertito da un barbaro e ancestrale paganesimo padano senza chiese e profezie alla grazia di un cattolicesimo universale che brucia di passione per il sacro simbolo della croce e la santa persona del Papa. Triplamente eroe, perché in nome del suo fervore ideale ha messo in gioco la sua carriera politica e la stessa vita sua e dei suoi cari. E se oggi l’uomo lascia ai codardi il suo posto di ministro – in un governo in carica per l’ordinaria amministrazione ancora per qualche settimana – sarà ad aprile quadruplamente eroe, eletto al Parlamento di una Repubblica senza spina dorsale dalla valanga dei suffragi di quanti come lui ardono di volontà di riscatto e di orgogliosa passione. Risorti in difesa dei nostri più sacri principi dalla frustrante apatia di una società smidollata; riarmate sentinelle dei confini della civiltà, rianimati crociati benedetti dal fuoco del martirio. Il cuore di un eroe illumina le sterminate lande che languono nel crepuscolo dell’incertezza e dell’abbandono, e già vedo dagli atri muscosi e dai fori cadenti destarsi le plebi che fino a ieri, umiliate dai vigliacchi che le hanno governate o ambivano a farlo, schifavano l’urna e la “gabina”, infangate soglie per la suburra della politica, ma che da oggi hanno la certezza che almeno un uomo potrà essere eletto per un certo riscatto, un sicuro repulisti. Ecco l’uomo, ecco l’onorevole Roberto Calderoli, colui che ha indossato al cospetto del mondo intero la cotta del soldato del vero Dio con ben visibili le insegne della vera libertà. E se oggi la fede, il riscatto e la civiltà possono essere rappresentati pienamente in una vignetta satirica, questo ci conferma di quanto si sia lasciata esporre all’insulto del nemico la nostra povera amata patria cristiana e liberale. Intanto nella lontana Libia beduina, undici disgraziati sui vent’anni sono appena morti ammazzati mentre tentavano di mettere a ferro e fuoco ciò che avevano a portata di mano di quello che a loro vedere aveva stretta attinenza, almeno simbolica, con l’eroe e il suo eroico gesto. Morire per una maglietta, una maglietta che uccide, un’apparizione televisiva che fa undici vittime a duemila chilometri di distanza. Questo oggi è possibile, questo oggi è accaduto. Domani accadrà di nuovo. Perché quegli undici stavano con altri mille a Bengasi, e quei mille di Bengasi sono fratelli di decine di milioni di disgraziati sui vent’anni, nella disgraziatissima realtà di una fratellanza universale tra miserabili senza altra cosa nelle loro mani se non la propria disperazione. C’è chi può convincerli a uccidere e a morire per ammazzare. Non uccideranno ministri né eroi. Quando un aereo si schianta su un grattacielo tra le macerie ci troverete un sacco di impiegati, di donne delle pulizie, di gente comunemente anonima, non un presidente e nemmeno un ministro. Come a morire per mano di un kamikaze non sono gli eroi, ma gli studenti, le madri di famiglia, i soldati di leva, i poliziotti pagati a cottimo, i bambini delle elementari. Quanti ammazzati ci dobbiamo ancora aspettare perché sia onorato l’esemplare ardimento di un convertito alla vera fede, alla vera libertà, alla vera civiltà? Parecchi, ma non qui per fortuna. Le trincee sono altrove, altrove i campi di battaglia. Non quelli di carta e di cotone, ma quelli veri, quelli del sangue che è materia fluida che si raggruma in Libia, in Indonesia, in Iraq, in Afghanistan, in Egitto, in Sudan, e per tutta la fascia longitudinale della miseria senza riscatto. A Bengasi gli undici ammazzati, che un testimone del nostro consolato chiama “i ragazzi delle moschee”, erano parte di quella massa di clandestini che stanziano in Libia per cercare di passare il mare o perché, passatolo, sono stati rispediti indietro. Se mai le turbe dei giovani nemici dovessero spingersi in vista delle nostre case, saranno ancora studenti e madri, soldati e bambini a dover avere paura. A difendere i ministri non c’è soltanto un triplo scudo di forze di sicurezza, ma la loro stessa ragione di esistere. Al Qaida augura lunga vita al presidente Bush, perché senza di lui non avrebbe ragione di mandare in giro a straparlare i suoi comizianti e a spargere sangue i suoi martiri; e lunga vita e molte vignette augurano all’ex e forse prossimo ministro Calderoli, quelli che, ben accorti e riparati, mandano i ragazzi a morire e a uccidere per dodici vignette blasfeme in quella buona metà del mondo dove hanno la ragionevole mani e affondarle.

Tratto da “Il Secolo XIX”, 19 febbraio 2006