Maurizio Maggiani: Le vignette sataniche e la mia ipocrita Italia

Se c’è una cosa che è capace di mettermi le sferze addosso, che non ho mai imparato sopportare, è l’ipocrisia. Prendiamo questa turpe faccenda delle “vignette sataniche” -come ce la caviamo sempre bene con le paroline adatte a sistemare le cose – questo ultimo mirabile esercizio della nostra superiorità intellettuale e morale avverso all’ignoranza violenta e bigotta degli altri. Sugli altri non ho niente da dire; quello che sta succedendo tra Giacarta e Gaza non appartiene alla mia idea di cultura civile e morale, e se anche ha giustificazioni non può avere il mio consenso. Ma voglio parlare di noi, perché siamo noi i migliori e dunque quelli che devono portare il carico della responsabilità che dall’essere migliori deriva. Noi, Paese della libertà di stampa e di pensiero, Paese dell’emancipazione dai pregiudizi, della parità dei diritti tra sessi e culture e fedi, Paese della par condicio e di ogni altro bene. Noi, eccoci qua. Se non sbaglio da noi fino a ieri si andava in galera per vilipendio della religione di Stato, giusto? E di gente in galera ce n’è andata davvero; non nell’Ottocento, ieri. Qualcuno di grazia si ricorda i processi degli anni Settanta? Ne fu celebrato uno, ricordo bene, per un’immagine che ritraeva una donna nuda in avanzato stato di gravidanza messa in croce, come il Cristo. Faceva parte di una campagna per l’emancipazione della donna e voleva visivamente rappresentare la sua sofferenza. A proposito di donne quando è stato cancellato dal codice penale il delitto d’onore? Nel 1500 o vent’anni fa? Vi ricordate di quando un uomo che ammazzava la moglie, o la fidanzata, e poteva farlo con la lupara o lapidandola o come gli piacesse, si pigliava al massimo cinque anni? E non viceversa, naturalmente. Vi ricordate quando si andava in galera per adulterio? Qualcuno tra i lettori lo ricorderà pure, no? E ricordiamo di quando gli uomini di casa andavano dal boss politico locale a mettere sul piatto della loro clientela il pacchetto di voti della famiglia: le mie donne votano come dico io. E non ci metterei la mano sul fuoco che questo non accada più. Ma certo accadeva non nel secolo diciottesimo, ma ieri, come ancora ieri non era cessata l’usanza in parti significative di questo Paese per cui le nostre donne andavano velate non solo a votare, ma per strada a fare la spesa. Diamo un po’ un’occhiata ai nostri bei film del dopoguerra, per rinfrescarci la memoria. Quanti schiaffi si sono prese le ragazze degli anni Cinquanta e Sessanta dai loro fratelli, dai loro padri, e dalle loro madri, per una gonna un po’ corta, per un po’ di rossetto. E non solo a Mussumeli, ma anche a Milano. Era il Paese di Voltaire il nostro fino a ieri? Lo è oggi? Oggi siamo tutti qui a gratificarci delle nostre libertà. Ma oggi in questo Paese non esiste un giornale di satira. La satira è un indice importante di civiltà e tolleranza, guai a mettere il bavaglio alla libera espressione della satira. “Fustiga ridendo mores”, da sempre e per sempre là dove c’è civiltà. Allora perché non c’è un giornale satirico in questo Paese? Temo di saperlo. Perché se fai una vignetta che non piace al primo ministro o a qualunque altro potente ricco di avvocati, di boria e di sete di vendetta, quello non è che ti spara con il kalashnikov, ma ti può far causa per quattro milioni di euro. E un giornale satirico, che per essere davvero tale non può che essere indipendente, affronterà un processo magari diversi processi, visto che molti sono i potenti che adorano vendicarsi che per un po’ di anni lo terrà con il fiato sospeso, nell’incertezza poter essere condannato e dover pagare una cifra che non ha, non avrà e non potrà che portare al fallimento del giornale, alla sua morte. La libertà di stampa, la libertà di satira, vanno forse bene solo quando sono principi astratti? Quante cause del genere si sono celebrate e sono ancora pendenti in questo Paese, un Paese dove i politici si sentono in diritto di stabilire cosa è satira e cosa non lo è. Oggi, non ieri. A seguito delle ultime vicende “sataniche”, il cardinal Tonini, eminente rappresentante della gerarchia cattolica ed esperto in mass media, ha dichiarato testualmente che la libertà di stampa si ferma davanti a Dio. Ah, sì? Bene, esattamente quello che sostengono “quelli là”. Se siamo migliori lo siamo da pochi giorni e solo grazie a grandi lotte di pensiero, e pure di mano. Lotte che non sono finite, perché non viviamo nella Gerusalemme celeste delle libertà, non di quelle vere, quelle che si fanno materia di vita. Gli altri, quelli peggio di noi… Ma se guardiamo a quei Paesi, vediamo popoli che non hanno niente. E a chi non ha niente non resta che Dio, ossessivamente a lui, solo a lui fidenti, esattamente come nella temperie della storia è successo anche a noi. Ha scritto in un blog un giovane terrorista algerino: il terrorista, come voi lo chiamate, sente solo la sofferenza dei fratelli, una profonda collera e una passione infinita per Dio, per il quale è pronto, come Abramo, a sacrificare il suo stesso figlio. Ecco, è terribile e angosciante. Disumano secondo il placido costume di pensiero di molti tra noi. Ma guardate che è la stessa disumana santità del fiore del martirologio cristiano, e se sostituite Dio con Giustizia, è la disumana alterità di molti grandi uomini che hanno fatto la nostra storia. È possibile che quei popoli abbiano qualcosa per la propria vita e per la propria dignità, oltre a Dio? Questa forse è parte della nostra responsabilità. Ricordo solo che il popolo indonesiano negli anni Cinquanta e quello iracheno negli anni Trenta si sono democraticamente dati una risposta laica, ma siccome assomigliava un po’ troppo al comunismo, a cura delle potenze rappresentanti della civiltà occidentale si è fermato il Satana dei laici con un bel bagno di sangue, e si sono imposti regimi i cui frutti ora vediamo. Perché la libertà non si ferma solo davanti a Dio, ma siamo soliti decidere volta a volta dove è bene che si arresti. Bene per chi? Sicuramente per chi pratica con successo l’arte dell’ipocrisia.

Tratto da “Il Secolo XIX”, 5 febbraio 2006