Maurizio Maggiani: Le cose che so sui cattolici
I cattolici”. Io non conosco “i cattolici” come entità, né, tantomeno, ho una teoria al riguardo della “questione cattolica”. Tutto quello che posso dire è che conosco molti uomini e molte donne di fede cattolica che vivono attivamente la loro fede. E tutto quello che so dei “cattolici” lo so attraverso la loro conoscenza. Dunque il mio è un punto di vista molto soggettivo e molto limitato, tanto limitata e soggettiva quanto è la mia esperienza di vita. Visto che non mi reco in un posto apposito a un tempo stabilito per incontrarli, ma li incontro vivendo la mia vita in un’infinità di incroci e tangenti naturalmente stabiliti con quella di ciascuno di loro. Forse è per questa ragione, per la limitatezza del mio campo visivo, che la mia percezione dei cattolici non assomiglia affatto a quella che sento descrivere da chi si occupa e si preoccupa di loro. Forse non mi riesce di incontrare quelli giusti.
Tanto per cominciare i cattolici che incontro non mi sembrano tanto diversi da me; non usiamo tra di noi un linguaggio particolare per poterci intendere e comunichiamo con grande naturalezza. Sia che si tratti di mangiare alla stessa mensa, sia che si discuta di qualcosa di importante o si chiacchieri in coda dal bisagnino non mi è mai capitato di arrossire o far arrossire per un qualche speciale imbarazzo tra noi.
E soprattutto i cattolici che io conosco sono uno diverso dall’altro. Sono individui. Buoni e grami, belli e brutti. Se, putacaso, mi decidessi di rapportarmi a loro come a un club, a un partito, a un ceto sociale, allora si, avrei qualche problema di comunicazione. Molti tra i miei conoscenti immagino che mi prenderebbero per un idiota, e i miei amici per dolorosamente impazzito. Anche quando si fanno assemblea, quando sono chiesa, e mi capita di incontrarli in quelle occasioni, non mi sembra che perdano mai la loro individualità. Mi pare che pensino ciascuno con la propria testa e preghino ciascuno con il proprio cuore, anche se questo accade al cospetto di una struttura gerarchica che sono abituato a vedere come rigidamente verticale. Ma è, appunto, un’abitudine. Molte cose sono cambiate nella assemblea ecclesiale da quando ero un ragazzino. Ho partecipato qualche giorno fa a un incontro organizzato da alcuni parroci della Riviera. C’era un sacco di gente che era impossibile omologare in qualsivoglia modo; fosse per età, ceto o coscienza. Nemmeno i parroci sono riuscito ad individuare alla prima occhiata. Era tempo che non mi trovavo in un ambiente così intellettualmente libero e curioso; fraternamente libero, laicamente curioso. Sarà forse perché le assemblee ecclesiali sono le uniche che ancora si riuniscono in ragione di vere e forti motivazioni e non per vuota ritualità. Già, i fasti dei riti è più facile trovarli nelle assemblee e nei congressi di partito.
Ecco, se posso far conto su quello che so io dei cattolici, non trovo che abbia alcun senso quello che invece paiono essere per il personale politico del Paese. Chi parla per i cattolici, chi decide in loro nome, chi a loro si rivolge. Ma la Destra è così sicura che i cattolici siano a immagine e somiglianza della propria intolleranza culturale, così piamente reazionari? E la sinistra, che ne sa la sinistra dei cattolici quando si prende cura di loro come della parte più delicata della nazione? Ad esempio, io non sono mica così sicuro come ha detto Romano Prodi che il referendum sulla fecondazione assistita “dilanierebbe il Paese”. Dilaniarsi? Io non ho mai avuto modo di dilaniarmi con nessuno dei cattolici che ho incontrato su nessuno dei molti temi che abbiamo avuto modo di discutere. Davvero questo è un Paese pronto a dilaniarsi in nome di una fede? È assai probabile che Prodi intendesse che “loro” si sarebbero dilaniati, i vertici di una coalizione politica non propriamente coesa.
Facile per un potere confrontarsi con un altro potere, assai più difficile con i cittadini. Facile che si confondano le direttive della Cei con le coscienze dei cittadini cattolici, la parte per il tutto. Probabile che la Cei si senta autorità proprietaria delle coscienze dei credenti, assai più difficile che ciò corrisponda alla verità. Facilissimo invitare un cardinale a palazzo e intendersi su tutto, assai più difficile andare nelle parrocchie della Riviera e stare ad ascoltare a lungo e attentamente prima di prendere la parola. Da Costantino in poi la questione di fede è diventata questione di potere. Basta Dante Alighieri per descrivere l’immensa tragedia morale e politica che ciò ha generato. Eppure, assai più delle radici cristiane sono ancora le radici del potere a persistere con più tenacia. Tra le virtù radicate dal cristianesimo nel mio mondo ce n’è una che stimo più di ogni altra e che so di poter professare anche da miscredente. È la misericordia. In verità una virtù che si è alimentata dalle radici del laico paganesimo latino romano della pietas. La misericordia, qualunque sia la versione che ne dà il presidente Bush, è il cuore intimo della democrazia perché conforma le relazioni tra gli umani alla tolleranza più profonda, alla fraternità più amorevole, alla responsabilità più alta. Dilaniarsi?
Tratto da “Il Secolo XIX”, 17 ottobre 2004