Maurizio Maggiani: La pace riparte da quel mare di ventenni

È domenica, è mezzogiorno; pigro, morbido meriggio a passeggio per Roma. Salgo in San Piretro in Vincoli, voglio portare la giovane donna che è con me a vedere una cosa segreta. Gliela faccio notare; lei non la vedrebbe: è troppo piccola, nascosta dietro una guida turistica elettronica a gettoni. La mia amica guarda ed è estasiata, come me ogni volta: dentro una nicchia scavata nel muro della facciata, non più grande di un pugno, c’è una testa d’uomo dipinta. Quel viso ha un’espressione dolce e forte, pensosa ma di un pensiero assieme lontano e sorridente: è un viso bellissimo e complicato. È molto antica, bizantineggiante, e non so chi l’ha dipinta né di chi sia quella testa, non l’ho mai chiesto, non c’è scritto nulla. Credo che sia del Cristo, ma è solo quello che mi piace pensare. E adesso porto l’amica all’altro capo della chiesa, dove c’è, guardata da un possente scudo di pubblicità della Lottomatica, l’attrazione turistica del posto, la roba che sta facendo impazzire la comitiva coreana in adorazione schierata sull’attenti: il Mosè di Michelangelo. Le chiedo, sperando ardentemente nella risposta che io già mi sono dato: cos’è ora, dopo quel viso, il Mosè? Niente, mi risponde. Be’, una reazione superiore alle aspettative, ma non molto diversa dalla mia reazione la prima volta che ho fatto il confronto, ogni volta che lo rifaccio. Oggi poi, l’esito del confronto era per me molto, molto importante: veniamo io e lei dalla strana, intensa giornata di ieri, dal giorno dell’oceano pacifico, come titola un giornale stamattina. Si, ho letto i giornali, ho visto la televisione e ascoltato la radio; ho saputo tutto quello che chi partecipa di un avvenimento non può sapere -quando sei nel mezzo difficilmente vedi i contorni, mai il quadro complessivo- e mi sono chiesto: cosa resta di tutto questo, di ciò che ho vissuto e di quello che ha significato; c’è una lezione che posso portare con me per capire cosa succederà domani, per sapere se l’oceano pacifico bagnerà in qualche modo la storia che verrà? Si, ho pensato, andiamo in San Pietro in Vincoli a vedere il viso nascosto e il Mosè.
Questo, comunque vadano le cose, resterà. Ieri non è sceso in guerra il giovane, l’irruente Davide contro l’obeso gigante Golia, ieri si è disvelato il piccolo volto nascosto nel muro e il mondo intero ha potuto guardare con occhi diversi il possente Mosè. Ieri non c’è stata battaglia per le strade del mondo, non un decisivo scontro di politiche e di poteri. Se la vogliono fare, la guerra la potranno fare comunque. Ma è successo qualcosa di più importante per un orizzonte ancora più lontano. Si è messo in chiaro, in concreta materia che nell’universo globale, unipolare, non c’è una sola cultura e qualche sottoprodotto di nicchia, un pensiero dominante e sacche di resistenza, ma due culture, due visioni del mondo, due modi di vivere nella storia diversi. Antagonisti come lo possono essere l’ignoto Cristo nel muro e il Mosè nella sua navata. Ieri l’oceano pacifico non ha semplicemente manifestato contro Bush e la sua guerra: quelle erano soltanto le prime parole, la prima frase di un lungo discorso sotteso. Ha manifestato per e contro qualcosa di molto più grande e vasto. Di fatto non è Bush, il Mosè: la sua supremazia, il suo immenso potere sono una contingenza assai circoscritta nell’epoca che stiamo vivendo; e Bush, figlio e nipote e pronipote, non valicheranno quest’epoca. È il pensiero che l’ha generato, l’idea del mondo che lo ha fatto prosperare, la diga contro cui ha dilagato la marcia delle 120 città. Non è Bush che genera la guerra, è la guerra che ha generato Bush. E il pensiero dominante, il pensiero che include la guerra tra le opzioni di potere, da ieri sa con certezza che il suo dominio ha iniziato ha declinare; non tra i suoi sudditi lontani, ma nel suo cuore, nella mente delle sue elites civili.
Dell’ignoto Cristo di San Pietro in Vincoli si vede solo il viso, manca tutto il suo corpo. Così come l’oceano pacifico è ancora un’immagine magmatica, cangiante, non definita nella sua materia se non per quello che ha cominciato a essere e quello che potrà diventare. Non come partito, ma come cultura, non come movimento, ma come comunità. C’era ieri un mare di ventenni nell’oceano, avranno tutto il tempo per darsi un corpo e darlo al mondo.

Tratto da “Il Secolo XIX”, 17 febbraio 2003